“Anche senza ricordi, un malato è una persona e sorridere può farlo star meglio”
Per l'associazione Rughe di Gavirate, Gigi Bellaria cura quella che chiama la "ginnastica del sorriso" rivolta a chi soffre di una demenza. "Ai caregiver dico: non abbiate paura di chiedere aiuto"
“Ci sono dei ricordi che mi devi” cantano i Pinguini Tattici Nucleari nel singolo che con la poesia dei cantautori racconta il volto dell’amore verso una persona che soffre di Alzheimer. E attorno ai ricordi che sfumano si costruisce spesso ogni tipo di relazione nei confronti di chi è affetto più in generarle di una qualsiasi forma di demenza. Così si definiscono le malattie che implicano un deterioramento cognitivo e fisico, malattie difficili da affrontare e anche da accettare per i malati e ancor di più per chi, giorno dopo giorno, li assiste. Malattie che tolgono molto e non soltanto, seppur questo resta l’aspetto più doloroso, i ricordi.
Il dolore, la preoccupazione, la stanchezza, l’imbarazzo, il rancore, levano spesso anche il tempo per quella leggerezza che nella vita a volte fa molto più che tante medicine. Quel senso di benessere alla cui ricerca Luigi – Gigi – Bellaria, architetto sestese e tecnico nazionale di nordic walking, si dedica ogni giorno per sé e per gli altri. Tra lavoro e volontariato, Bellaria aiuta le persone a stare meglio, invitando alla lentezza quando c’è da rallentare, ampliando lo sguardo quando è bene guardare oltre, risvegliando il corpo e tutti i muscoli quando i movimenti si fanno frenetici e ripetitivi.
«È stato un uomo del gruppo che seguo, nell’ambito delle attività per l’associazione Rughe di Gavirate, a ribattezzare il mio corso la “ginnastica del sorriso”. Mi ha detto: “Mi piace questa ginnastica perché si ride, è la ginnastica del ridere” e l’ho trovato la definizione migliore, perché è questa la sensazione che cerco, è questo che fa stare meglio». Bellaria, nella sua attività di istruttore, da tempo ha avviato con gruppi di persone affette da demenza e con i loro caregiver diversi progetti di sostegno e aiuto. Tra questi appunto la ginnastica, il risveglio muscolare e le camminate. «Cerco per quanto possibile di promuovere attività all’aria aperta che aiutano il corpo e lo spirito – spiega Bellaria -. Stare fuori e in mezzo alla natura è il miglior modo per acquisire vitamina D e il cammino in compagnia sprigiona serotonine ed endorfine».
Nulla che abbia la pretesa di sostituire le cure mediche previste in questi casi ma piccoli progetti dai risultati virtuosi da affiancare al percorso di cura: «Anche gli esercizi che propongo sono molto utili per aiutare il corpo a riprendere la propria attività così come la cura della postura e la promozione del movimento. Queste malattie a volte ci fanno dimenticare che abbiamo di fronte sì un malato, ma che il malato è una persona, con la P maiuscola, merita attenzione e l’attenzione a volte è anche provare a proporre qualcosa di diverso che rompa la quotidianità».
Per Bellaria, che insieme a Massimo Fidanza, ha da poco pubblicato il libro “I sentieri del benessere” dedicato al turismo di prossimità e alla scoperta del territorio (e alla riscoperta di se stessi) a passo lento, riuscire a dare anche ai caregiver, coloro che si prendono cura dei malati tra le mura di casa, un momento di “tregua” fa parte dei benefici collaterali dell’iniziativa.
Sono loro infatti le colonne su cui in molti casi si regge la cura di chi è colpito da una demenza. Figli, fratelli, coniugi, parenti prossimi che, anche da un momento all’altro, vedono la loro vita cambiare completamente. Non è raro che vivano situazioni tenute in silenzio per riserbo a volte in solitudine, compromettendo talvolta anche la salute propria e le relazioni. Ma fino a quanto si può reggere? «La mia esperienza mi ha mostrato come nei primi mesi, chi cura un proprio familiare colpito da una demenza cerchi di farsi carico completamente della situazione, e questo è comprensibile – prosegue Bellaria -. Si tratta però di un carico estremamente pesante da portare avanti da soli e si arriva ad un punto in cui ci si rende conto della necessità di recuperare anche la propria vita. Io, quando c’è la possibilità, consiglio sempre un aiuto perché dal benessere del caregiver dipende anche il benessere dei malati. Noi cerchiamo di garantire periodicamente qualche ora di libertà per chi fa il lavoro di cura, ma sappiamo bene che è poca cosa rispetto alla quotidianità. Ma anche questo aiuta. L’associazione Rughe propone delle attività proprio per i famigliari. Servono a ricordare che se non stai bene con te stesso non potrai mai prenderti cura di un’altra persona».
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