Damian Iorio, direttore d’orchestra “giramondo” con il cuore sul Lago Maggiore
Intervista al maestro Damiano Iorio. Affermato direttore d'orchestra che ha casa a Brebbia, dove vive con la famiglia e coltiva la passione per la bicicletta
Il lago increspato, le montagne spruzzate di neve, il cielo azzurro reso terso dalla tramontana, ma con il sole che tuttavia scalda abbastanza per invogliare a sorridere, a guardarsi intorno. Dentro a tutto questo, Damian Iorio ritrova un sorriso che esprime serenità quasi buddista. Di ritorno da una lezione di violino, si ferma da perfetto sconosciuto, per uno spuntino e una chiacchierata amichevole, ma comincia da un pensiero a noi, italiani brontoloni: «Siete circondati da sempre dalla bellezza, per questo fate fatica a notarla, quasi non ve ne accorgete». Damian fa Iorio di cognome, padre di origini romane, madre inglese ma di origini australiane. Lui, londinese di Camden, è british al 100%, ma la vita lo ha portato a essere cosmopolita e a sposare una donna russa. Vive nel mondo, sì, ma ha a casa a Brebbia: «È un approdo, l’Italia, un bel punto d’appoggio per ritrovare la famiglia, ritemprarsi e, poi, naturalmente ripartire».
Ha diretto e dirige orchestre tra le più prestigiose al mondo, non una in particolare: «Sono un libero professionista, un direttore d’orchestra che viene chiamato ovunque, per concerti, registrazioni, progetti». Il suo curriculum è interminabile ed equivale davvero a un giro del mondo anche solo citando una minima parte delle sue collaborazioni: Detroit Symphony, London Philharmonic, BBC Philharmonic, Netherlands Radio Philharmonic, St Petersburg Philharmonic, Orchestra Sinfonica di Milano “Giuseppe Verdi”, Orchestre National de Belgique, Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, Orchestre de Chambre de Lausanne, Orquestra Sinfónica do Porto Casa da Música, Iceland Symphony Orchestra, Orchestra della Svizzera Italiana di Lugano, Tchaikovsky Symphony Orchestra di Mosca, Netherlands Symphony Orchestra, Orquesta Sinfónica de Castilla y León, Norrlands Operan (Svezia), Sofia National Opera.
È appena rientrato da una serie di concerti in Giappone e sta per ripartire a dirigere un’orchestra in Danimarca. Nel mezzo, c’è l’insegnamento al conservatorio a Londra e la direzione di un’orchestra giovanile. Infine, ecco l’approdo, ovvero l’Italia, Brebbia, dove ritrova il tempo per la pace e il riposo.
Perché proprio qui? Che ci fa uno dei più grandi direttori d’orchestra al mondo, in un “buco” di provincia? «Perché è l’Italia. Anni fa, con mia moglie, cercavamo un posto per avere una vita diversa. Per il cibo, per il clima. Inizialmente ci stabilimmo a Milano, poi ormai da anni, siamo qui in provincia di Varese, dove sono comodo per la vicinanza con Malpensa e dove c’è il Jrc di Ispra, ovvero un’opportunità di amicizie internazionali». Damian Iorio è padre di due ragazzi adolescenti che vanno a scuola in Svizzera, dove lavora anche sua moglie: a Brebbia, si ritrovano tutti, e in queste soste lui si prende, sembra impossibile ma ci riesce, anche momenti per evadere con la sua bicicletta, fino in cima al Cuvignone o scalando il Campo dei Fiori. «Sì la bicicletta è il mio sfogo e qui mi riesce bene».
Damian nasce come violinista, ma diventa poi direttore d’orchestra imparando da uno dei più grandi maestri di sempre, il russo Ilya Musin. Il suo percorso musicale, cominciato quando aveva quattro anni, è talmente infinito che si rischia di trascurare l’essenza, ovvero lui, chi è questo personaggio incredibile che oggi ha 50 anni, ma non li dimostra.
foto dal sito ufficiale di Damian IorioDirigere un’orchestra, che vuol dire per Damian Iorio? «Significa creare un’unica voce, ovvero un’unica emozione unendo tante voci, strumenti, talenti e idee musicali: quasi sempre ho davanti a me grandi professionisti, musicisti a cui non devi insegnare nulla, a cui non devi dire cosa fare perché sanno già cosa fare. Spetta a me, invece, stimolarli a dare il meglio e unirli per trasmettere al pubblico l’emozione, l’energia: ho la responsabilità di creare un’unica espressione, la più intensa e profonda possibile, di 80 espressioni diverse, se consideriamo le orchestre più numerose». Alla ricerca di una perfezione, insomma: «La perfezione non esiste, ma bisogna sempre cercare di migliorare. Normale essere perfezionisti, nel mio lavoro».
Lo sguardo, il carisma, la sicurezza che trasmette vanno oltre la sua statura modesta e il suo fisico minuto: «Dirigere un’orchestra ti porta a dover comunicare senza parole, devo ispirare, motivare con le mani, con il mio corpo. Devo essere anche un po’ psicologo per chi ho di fronte, ovvero i musicisti. E lo scopo finale è emozionare chi ho alle spalle e ascolta, ovvero il pubblico». La musica è la sua vita, scandisce i suoi ritmi e le sue regole. Da ragazzo, allievo violinista, ha suonato la chitarra elettrica, come molti musicisti londinesi, ha ballato lo ska dei Madness (anche loro di Camden, come Damian), è andato ai concerti dei Metallica e degli AcDc, ma non ha mai abbandonato Chopin e gli altri. E oggi è un grande sostenitore del diritto alla musica per i bambini e i ragazzi: diritto ad ascoltare e a imparare a suonare uno strumento.
«La musica per i bambini e i ragazzi è fondamentale, ma si tende a toglierla dai programmi scolastici, la si trascura, ma è un errore enorme. Suonare uno strumento, poi, ti aiuta a crescere: è disciplina, concentrazione, soddisfazione, ma anche matematica. La musica è anche matematica». In Inghilterra ha collaborato e collabora a progetti per le scuole: «In classi difficili, la musica può aiutare moltissimo: è emozione, collega il cervello, ma stimola ad arrivare all’anima di noi stessi. Certo, suonare richiede anche sacrificio, imparare uno strumento è faticoso, ma poi c’è la soddisfazione che viene dal potersi esprimere con la musica. Ho lavorato a progetti che, concretamente, hanno dimostrato che inserendo la musica in un contesto di alunni difficili, si possono ottenere grandi miglioramenti in tutto l’andamento scolastico, in ogni materia».
Non puoi spiegare tutti i perché della musica: «Fare musica vuol dire avere a che fare con i sentimenti. Anche soltanto ascoltare musica, non solo pop/rock, ma anche la classica, è un esercizio che ti fa crescere, è appagante, aiuta, fa stare bene. Io dico solo: fermati, ascolta un brano, prenditi un po’ di tempo, cerca di entrare dentro questo brano con la mente: due minuti o due ore, non fa nulla, è comunque importante. Suonare poi è una forma d’arte, ovvero modo per esprimere una parte di noi stessi che non si vede, che abbiamo dentro». La musica classica è ancora molto attuale e credibile, anche in un panorama musicale che, ai meno esperti, sembra occupato in gran parte da altri generi, dalla trap scaricata da Spotify fino ai ritmi più in voga nelle balere o nelle autoradio: «La musica è soggettiva, una cosa che per me è attuale, non lo è per un altro. Però la musica classica stimola ad aprirti: apertura mentale è ciò che serve anche per capire non solo la musica, ma anche gli altri, le diversità».
Nel Paese dei Maneskin e di pseudocantanti trap dai nomi impronunciabili, ci sono ancora molti talenti anche nella musica classica: «L’Italia per me resta un Paese straordinario. Sì è un Paese complicato, pieno di contraddizioni. Ma siete l’Italia, siete la culla della cultura, qui è nata la lirica, avete Roma, Venezia, Firenze, avete i grandi artisti, avete la bellezza. Io ho lavorato con musicisti italiani giovani di grande valore. E compositori di talento: ricordo, per esempio, Silvia Colasanti, che ha scritto e sa scrivere opere splendide».
foto dal sito ufficiale di Damian IorioDistratti e confusi dal baccano mediatico scatenato dai fans e dai social odiatori dei Maneskin, bombardati da vanità musicali di ogni tipo, alzi la mano chi tra noi del popolo bue sa che Silvia Colasanti è la compositrice italiana vivente più affermata sulla scena internazionale. Sia chiaro: lo scandalo di cui ci dovremmo vergognare non è affatto ascoltare i Maneskin, ma ignorare la Colasanti. Damian Iorio la vede in modo meno pessimista: «I musei sono pieni, l’arte sa ancora attrarre la gente e può comunicare tanto alle persone. La musica classica è più impegnativa, ma io insisto: non devi avere nessuna cultura per capirla. Al diavolo regole o teorie, aprite la mente: l’approccio deve essere intimo e personale: noi musicisti dobbiamo aiutare il pubblico a non avere paura. Bisogna concentrarsi sulle emozioni, su ciò che arricchisce dentro». Non devi aver studiato musica classica per emozionarti con Vivaldi, Mozart, Puccini o Verdi: «Devi aprire la tua mente, lasciar da parte tutto il resto». Ha una visione alta, Damian Iorio, e forse per questo fatica a capire i nostri lamenti per le mille che non vanno in Italia. Soffre nel profondo, invece, quando la musica e la cultura subiscono le conseguenze assurde di guerre ancora più stupide: «Io ho amici musicisti russi, io mi sono formato musicalmente anche in Russia, ma ho lavorato e conosco bene anche artisti ucraini. La guerra è una schifezza, da qualsiasi punto di vista la provi a giudicare, ma la musica non può essere strumentalizzata da questa o quella parte, per propaganda. Non vado oltre per non essere giudicato o interpretato malamente».
La guerra ora e la pandemia prima hanno fatto molto male alla musica e al suo lavoro. Damian, nel suo rifugio di provincia, ritrova la sua famiglia, la sua bicicletta, e preferisce pensare a tutt’altro. «La serenità è anche stare su un terrazzo al sole, davanti a un tavolino con sopra un pezzo di formaggio e un bicchiere di vino. La vita è bella quando è semplice». Semplice, ma unica e geniale, come un’aria di Mozart.
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