Gabriele Reina, tra viaggi, stemmi e pennelli: ritratto di un ritrattista angerese
Sulla finestra dell’ex convento di Santa Caterina ad Angera sono di recente comparse imprese araldiche, «un rebus del rinascimento». Reina con due lauree nel curriculum, fa consulenze in tutto il mondo in qualità di esperto di stemmi
La gentilezza salverà il mondo, ma anche la bellezza farà la sua parte, finché ci saranno persone disposte a condividerla. T’imbatti in Gabriele Reina e ti chiedi cosa ci faccia un vero gentleman in un angolo di provincia annoiato, com’è Angera d’inverno. Proprio qui sta realizzando il suo sogno più ambizioso in un antico edificio del centro, che da poco è diventato il suo nido. Sulla finestra dell’ex convento di Santa Caterina sono di recente comparse imprese araldiche, «un rebus del rinascimento», dice lui. E da dietro i vetri s’intravvedono maioliche e tele dipinte, volti e figure nobili che destano molta curiosità tra i passanti, pettegole e i clienti del fioraio e del panettiere, le botteghe vicine a casa sua. Gabriele ci ride su e non vede l’ora di mostrare al mondo la sua idea: «Mi è capitato di sorprendere persone appese alle inferiate che volevano sbirciare dentro. Un po’ di pazienza, ho ancora molti lavori da completare, ma ci siamo quasi: voglio trasformare i locali dell’antico convento in una casa atelier e renderlo in qualche forma anche accessibile al pubblico». In quel nido, che condivide con la moglie, una giornalista americana conosciuta quindici anni fa a Vienna, prendono vita le sue passioni: l’arte, quella dei ritratti e del paesaggio, e la storia, con centinaia di stemmi araldici di cui Gabriele è uno dei massimi esperti in Italia. Prendono vita sì, lo si capisce da come ne parla lui che li ha dipinti, ne parla con due occhi vispi che s’illuminano di una gioia e di un orgoglio contagiosi, tanto che è impossibile rimanerne indifferenti.
L’arte e l’araldica, tuttavia, sono diventati ben altro che un gioco, sono la sua vita quotidiana: «Fin da bambino, io avrei voluto fare il pittore, ma mio padre su questo fu molto severo e, da imprenditore, mi indirizzò verso studi che considerava più sicuri. Era comunque sensibile all’arte, era in grado di vedere e comprendere la mia passione». A sentirlo parlare di suo padre, sembra di entrare in romanzo del suo amato Stevenson, e ce ne sarebbero di avventure da raccontare. Poi, parlando della madre, recentemente scomparsa, la sua voce s’incrina, con lo sguardo velato di commozione.
Aveva dodici anni quando i genitori, che allora vivevano a Milano, lo portarono in Val d’Orcia a conoscere un amico che sarebbe diventato il suo grande maestro: «Ero ancora un bambino, quando divenni allievo di Pierluigi Bossi, pittore futurista grande amico di Marinetti, da lui stesso soprannominato Sibò. Padroneggiava tutte le tecniche, ma in particolare, quella che più mi affascinava era l’antica arte della maiolica». E da Sibò, il piccolo Gabriele si appassionò all’araldica: «Ero praticamente un bambino e il mio maestro, per iniziare, non mi chiedeva certo di riprodurre i grandi pittori. Mi fece cominciare con esercizi più elementari: girando per i borghi medioevali della Val d’Orcia, era abbastanza comune imbattersi in stemmi o imprese araldiche. Spronato da Sibò, iniziai a riprodurre quei simboli, disegni spesso elementari: disegnare draghi, grifi, leoni e scudi gotici dei palazzetti toscani era formidabile per affinare l’uso della linea. Ne è nata una passione grande anche storica».
Oggi, Gabriele Reina, con due lauree nel curriculum, fa consulenze in tutto il mondo in qualità di esperto di stemmi, che dipinge e studia con precisione certosina: «L’araldica è un’algebra, io interpreto i geroglifici del feudalesimo. I collezionisti d’arte m’interpellano spesso, da uno stemma è possibile ricostruire sia la provenienza, sia gran parte della storia di un quadro. Vengo chiamato anche da università, ricercatori, vari istituti. Ho dipinto stemmi e realizzato mostre non solo in Italia». E spesso fa lezione ai bambini, perché imparare la storia attraverso i simboli è un’esperienza affascinante a ogni età.
Dagli stemmi ai taccuini di viaggio: il gentleman Gabriele Reina, poliglotta che oggi ha 54 anni, ha un’insospettabile vocazione a viaggiare. Viaggia lentamente e a modo suo, a piedi o, più spesso, in sella a una bicicletta e con un taccuino di viaggio da dipingere e riempire di appunti. Francia, Scozia, Pirenei, Aragona , Austria, Slovacchia, tanti angoli d’Italia sono finiti nei suoi straordinari diari: «Sto già pensando alla prossima avventura, un viaggio attraverso i luoghi di Federico II, nell’Italia meridionale». Niente macchina fotografica o smartphone, bensì pennelli, acquarelli e taccuini rilegati da lui stesso: «Idee pesanti, ma tasche leggere: la bici si è rivelata perfetta per le mie aspirazioni, per i miei vagabondaggi. E fermarsi a disegnare, lungo il percorso, è un modo splendido conoscere luoghi e persone». Centinaia di taccuini, disegni e acquarelli riportano a esperienze indelebili, come ai tempi dei viaggiatori del Grand Tour. E qualche volta diventano libri, come il materiale prodotto durante un viaggio in Sicilia: «Qualche anno fa, feci un viaggio in bici alla scoperta dei luoghi del Gattopardo, in Sicilia. Fu un’esperienza fantastica. I taccuini e gli acquarelli di quel viaggio stanno per diventare un libro che uscirà a breve. Me lo sta per pubblicare Vittorietti, piccola casa editrice siciliana, il cui fondatore fu amico e confidente di Tomasi di Lampedusa». Lo spinge un esercizio personale, certamente intimo, ma anche la voglia di cogliere l’autenticità di luoghi e persone differenti.
Fermare il tempo, fermare la luce, fermare gli sguardi, fissare su tela il volto e l’animo di una persona: non potendo vivere in viaggio, Gabriele Reina lo fa più spesso dipingendo ritratti. A centinaia, forse migliaia, molti su commissione, altri per arricchire una collezione vastissima pronta per essere esposta, almeno in parte, nella sua casa angerese. I suoi falsi di Leonardo gli crearono qualche problema in dogana, quando allestì una mostra personale in Francia, in un elegante castello sulla Loira. «Dovetti spiegare e tranquillizzare non poco i doganieri che pensavo che stessi trafugando opere d’arte».
Precisione, metodo, cura minuziosa: l’arte del disegno, per Gabriele Reina è come la matematica. «Pochissimi la padroneggiano, oggi è praticamente una lingua morta, come il latino. Un’arte uccisa dalla fotografia». È anche molto critico nei confronti dell’arte contemporanea: «La vera opera d’arte non deve essere replicabile. Non amo l’arte contemporanea se distorce la natura e la realtà, trasformandole in astrattismi indecifrabili, in grumi di colore che chiunque sarebbe in grado di replicare. Ricordo spesso con piacere un pittore moderno, Giorgio De Chirico, quando scriveva che “prima ci di essere cézanniani, picassiani, soutiniani o matissiani, e prima di avere l’emozione, l’angoscia, la sincerità, la sensibilità, la spontaneità, la spiritualità, farebbero meglio ad imparare a fare una bella e buona punta al loro lapis e poi con quello cercare di disegnare bene un occhio, un naso, una bocca o un orecchio».
Rigore, precisione, sensibilità lo portano a un amore sconfinato per la bellezza autentica. Ed è una garanzia anche per il suo datore di lavoro, Koelliker, che gli ha affidato la cura della sua collezione di oltre quindicimila opere. «Koelliker è uno degli ultimi grandi mecenati, forse il più grande mecenate attuale». Naturalmente da casa all’ufficio, da Angera a Milano, Gabriele Reina ci va a modo suo, in treno e in bici.
Le maioliche, i ritratti, i paesaggi, gli stemmi: i definitiva, l’arte di quest’uomo è un mosaico complesso, composto da tantissime tessere di tonalità differenti. Il farne un ritratto con le parole è un esercizio faticoso poiché si rischia di trascurare aspetti di una vita ricchissima di particolari: sfumando i dettagli, però, restano le linee più autentiche. Diventa allora più facile immaginare Gabriele Reina, con la sua discrezione, attendere il tramonto seduto in riva al lago, con i suoi acquarelli e il suo taccuino tra le mani. Felice di fissare un’emozione e la bellezza su un foglio, ma al tempo stesso in attesa di un cenno, di una domanda, di un inizio di discorso di qualcuno alle sue spalle. Il suo dipingere per strada è anche un invito a dialogare e fare conoscenza. E l’aspetto più sorprendente di Gabriele Reina è la cultura vastissima, che non vede l’ora di condividere, senza ostentarla: ogni dettaglio ispira un ricordo, ogni ricordo porta a un aneddoto, ogni aneddoto porta a un personaggio. Chiacchierate che sono autentici viaggi nel tempo, accompagnati da un vero gentleman.
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