“Venerdì a Castelveccana ho sentito due serie di spari venire dal bosco“
Parla il gestore del B&b che dista un centinaio di metri in linea d’aria dal luogo in cui è avvenuto l’omicidio. “Ero uscito a prendere la legna è ho sentito i colpi"
Due momenti di fuoco, «due distinte serie di spari» li chiama Luca Forma, il gestore del B&B “il Gatto nero” che si trova a Sant’Antonio, comune di Castelveccana all’incrocio delle strade che si portano sullo spartiacque della montagna. Luogo meraviglioso, vicino ad una chiesa, immerso nella natura. E a un centinaio di metri dal posto dove le fotoelettriche dei vigili del fuoco venerdì sera, 10 febbraio, hanno cercato di fare luce nel buio della notte per consentire ai soccorritori il recupero della salma di Nachat Rachid, 34 anni, originario del Marocco, trovato morto a 150metri in un dirupo.
Erano le 19 quando la chiamata è arrivata al 112, e una volta eseguiti i primi esami sulla salma, il giorno successivo, è stato iscritto nel registro delle notizie di reato il nome di un sottufficiale dei carabinieri della compagnia di Luino. Indagini per omicidio volontario. Secondo la Procura il militare «aveva esploso alcuni colpi d’arma da fuoco ritenendo di trovarsi al cospetto di persone armate». Dall’autopsia sul corpo della vittima è risultato fatale un proiettile in gomma esploso da un’arma «compatibile da un fucile da caccia».
Ma quali, e quante armi hanno sparato venerdì scorso sui tornanti della Froda? Una domanda che sorge spontanea visti alcuni bossoli d’arma corta trovati sul fondo stradale della Provinciale 7 già la sera di venerdì. Ma che si rafforza, nella sua necessità di avere risposta, col racconto di Luca Forma, 62 anni, varesino che ha scelto di cambiare vita e lasciarsi la città alle spalle aprendo un B&B a Sant’Antonio, dove vive con la famiglia.
«Sul tardo pomeriggio di venerdì scorso, il 10, ero uscito un secondo a prendere dei pezzi di legna quando ho avvertito due serie di spari ravvicinati. Due serie distinte: non sembravano armi che si sentono di solito durante le battute di caccia». Ma non solo. «Ho avuto la netta impressione che le due serie di spari provenissero da due armi diverse. Una prima scarica di due-tre colpi al massimo, aveva un suono più secco rispetto alla seconda scarica di tre-quattro colpi, che aveva un timbro più forte, più profondo».
Dunque scoppi che provenivano dalla valle, e non colpi che l’uomo aveva identificato come spari da caccia. Esiste una relazione con l’omicidio? Il momento in cui Luca ha avvertito i colpi è identificato con una certa precisione: «È stata mia figlia il giorno dopo a farmi presente l’ora in cui avevamo avvertito i colpi: “papà, erano le cinque”».
C’è un altro particolare da tenere presente in questa storia: la zona dove è avvenuto l’omicidio è certamente area di caccia: specialmente a specie come cervi, daini e mufloni. Ma la caccia è chiusa dal 31 di gennaio; e il venerdì (oltre al martedì) è giorno di “silenzio venatorio“ quindi è altamente improbabile che sul posto fossero presenti cacciatori.
Le indagini sono in corso da parte della squadra Mobile di Varese al lavoro anche su questi particolari e che in questi giorni hanno effettuato diversi accessi sul posto, che oggi pare tranquillo, vista la massiccia presenza di forze dell’ordine che hanno eseguito i sopralluoghi.
Del resto, di fastidi con gli spacciatori, Luca dice di non averne mai avuti. «Non sono mai venuti a darmi fastidio. Solo qualche volta scendendo a Castelveccana per sbrigare le commissioni, mi è capitato di incrociare gli sguardi con queste persone, sguardi certamente ostili, qualche volta hanno mostrato il manico del coltello, ma niente di più», spiega Luca.
«Chi spaccia in questa zona vuole essere il più possibile invisibile».
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