Clara che ha trasformato il Verbano nel “Lago Cromatico”
Da Isaac Newton a Robert Schumann, il filo e la libertà di movimento di Clara Schembari disegnano un percorso tutto suo, passando dai silenzi di un bosco, fino al palcoscenico di un auditorium
Tra quattro mura silenziose, si mette al pianoforte e lascia parlare Robert Schumann. Fuori, i primi venti di marzo profumano di fiori di ciliegio. Clara Schembari sembra quasi arrivare a sentirli, nel suo suonare, che è un po’ come uscire da lì, danzando con le dita sui tasti, per abbracciare la notte ed entrare in un’altra dimensione: quella delle “Scene del bosco”, ovvero lo spartito che ha davanti, e che è la vera essenza del romanticismo. «Schumann al primo ascolto sembra difficile, eppure parla all’anima. Per capirlo, bisogna entrarci dentro, fermarsi e riascoltarlo: a quel punto ti accorgi del suo calore, della sua intimità e della sua energia straordinaria».
Mette in musica la natura, Schumann, parla agli spiriti liberi, irrequieti. E tra natura e musica, Clara è uno spirito libero, corpo e mente in continuo movimento. Uno spirito sempre in fuga verso l’alto, inseguito da un corpo aggraziato di donna, che lo riporta a terra giusto il tempo necessario per ritrovare l’energia per ripartire. La vita di Clara Schembari è stata fino a oggi, un continuo fermarsi e ripartire, tra scienza e musica. Oltre a essere un’apprezzata pianista, è una scienziata che, dopo anni in giro per l’Europa, ha rinunciato alla ricerca per dedicarsi alla divulgazione, ovvero l’insegnamento in un liceo di Gavirate.
Partenza da Tortona, sua città natale, arrivo sul Lago Maggiore, suo nido ideale, a metà strada nel suo continuo viaggio tra pianura e montagna: «Sono arrivata qui grazie a un contratto come ricercatrice al Jrc di Ispra, ma avevo provenivo da alcuni anni passati tra Firenze e Imola a studiare pianoforte, dopo essermi laureata in fisica dopo aver fatto la tesi al Cern di Ginevra». Dall’Accademia musicale di Firenze, alla Scandinavia per un progetto di fisica, dalle lezioni del maestro Pier Narciso Masi, ai laboratori di ricerca di Torino, è stato un continuo andare e venire, fermarsi e ripartire, pensare e ripensare pezzetti di vita. Nel mezzo, il Lago Maggiore, un pezzetto di mondo tra Ranco e Ispra: «Che detestavo. Quando arrivai qui, il lago non lo sopportavo, io arrivavo da Firenze, città viva culturalmente, e mi ritrovai qui, nel grigio di un mese di novembre del basso Verbano, dove non conoscevo niente e nessuno. Poi, nel 2013, quando ero già tornata a casa, in provincia di Alessandria, mi resi conto che il lago mi mancava, questi posti mi erano entrati nel cuore. Mi sono fatta l’idea che ci fosse come un filo che mi stava riportando qua, ogni volta che ripartivo».
E contemplando la natura di questi luoghi, una decina d’anni fa, venne l’idea di creare qualcosa di bello: «Durante una delle mie numerose camminate solitarie, tra Angera e Ranco, circondata da natura e paesaggi meravigliosi, mi venne la voglia di creare qualcosa che valorizzasse questo territorio: nacque così, grazie anche alla collaborazione di un bel gruppo di amiche, l’associazione Musica Libera, che valorizza questo territorio con la cultura». Dall’idea di dare qualcosa, come un ringraziamento, un tributo alla bellezza di questo territorio, è nato il Festival Lago Cromatico, una delle più originali e vivaci rassegne culturali del Varesotto.
Dal 2015 a oggi, propone non un semplice calendario di concerti, ma un approccio sensoriale alla bellezza. La voglia di condividere emozioni convive con la sua indole solitaria e inquieta: Clara, anche nella sua quotidianità apparentemente ripetitiva, è in continua ricerca di natura, natura da cui farsi circondare, conquistare, rapire. «Ci sono emozioni impagabili, ogni volta diverse, nell’andare a vedere un’alba dalla riva del lago, o nel perdersi in un bosco fuori casa mia. Spesso, nel bosco cammino a occhi chiusi, per ascoltare al meglio tutta la sua musica. L’apparente silenzio di un bosco è in realtà un’infinità di suoni da cogliere, sentire. Qui ho trovato la mia dimensione, sì, ma sono in continua ricerca di spazi aperti e libertà di movimento: eh sì, la montagna mi dà ancora di più, la montagna che è fortunatamente vicina da dove vivo».
Montagna che per Clara può tradursi in una parete da scalare o in una vetta da conquistare o semplicemente in una valle deserta da attraversare. Come è arrivata al pianoforte e come ha scelto la fisica sono domande che Clara liquida con un sorriso e un «è successo così», ma in realtà seguendo quel filo che l’ha condotta sul Lago Maggiore, si torna ancora una volta alla sua continua ricerca: «Sono curiosa, la natura e il mondo sono lo stimolo per conoscerne l’essenza». La fisica e la musica vivono di curiosità, in fondo: «Sono due punti di vista di un’unica realtà. La fisica ti permette di capire come funziona l’universo, la musica ti consente di coglierne le emozioni».
Da Isaac Newton a Robert Schumann, il filo e la libertà di movimento di Clara Schembari disegnano un percorso tutto suo, passando dai silenzi musicali di un bosco, fino al palcoscenico di un auditorium. Ha suonato nelle maggiori città italiane, ha viaggiato di concerto in concerto in Svizzera, Germania, Singapore, ma poi torna al pianoforte di casa, oggi a Osmate, per emozionarsi con l’amico Schumann o per esorcizzare la paura con Schubert: come fece durante la pandemia, condividendo online sonate e fantasie musicali, come vaccino contro la negatività. Musica che è solo in parte ricerca interiore e poi finisce inevitabilmente per diventare condivisione: «Mi sento realizzata ogni volta che posso fare musica da camera. La trovo un’esperienza sensoriale unica, meravigliosa. È qualcosa di magico: si è in due, tre, cinque, sei o più strumentisti, non ci si guarda, ognuno ha il suo spartito, ma si vive un’empatia straordinaria. Si parla, si dialoga, si va oltre lo spartito. C’è un incredibile scambio di energia tra noi musicisti, si respira insieme, è una sensazione unica».
Emozioni uniche regalate anche al pubblico che l’ha ascoltata duettare per esempio con l’armonicista Willi Burger, con il fisarmonicista Nadio Marenco, il flautista Marco Rainelli, la pianista Ani Martirosyan, senza voler proseguire in un lungo elenco di concerti e progetti in varie formazioni. Inquietudine e serenità, concerti ensemble e intimità al pianoforte, ricerca di solitudine e voglia di mondo, scienza e arte, silenzio musicale di un bosco e ricerca di un applauso fragoroso di una platea, libertà di movimento e bisogno di fermarsi dentro a un nido: tutto in una donna, che sembra davvero catapultata dal romanticismo ai giorni nostri. Ha portato la musica dentro ai limiti forzati di un carcere (ad Alessandria) e negli spazi aperti del nostro lago. Oggi sta lavorando a un progetto discografico ambizioso: «Provo a unire le mie passioni: per la natura, per la montagna e per Schumann». Che vuol dire tante ore di studio, solo lei e il pianoforte, «non rispondo neanche al telefono». Intanto, fuori, il cielo stellato di marzo, Giove e Venere che si baciano, la luna, il vento profumato. Notte: muta per bipedi superficiali, musicale per Robert Schumann, Clara Schembari e gli ultimi romantici.
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