Stiamo bruciando la “pelle” della Terra. Ed è un grosso problema, soprattutto in Lombardia
Il suolo fertile è concentrato in poche decine di centimetri: dà cibo, assorbe l'acqua, trattiene il carbonio che sarebbe dannoso in atmosfera. Ma ogni anno centinaia di ettari vengono spazzati via dalle ruspe. E anche il Pnrr rischia di diventare una minaccia
Stiamo bruciando «la pelle del pianeta». Usa questa definizione, il ricercatore Paolo Pileri, nel suo libro “L’intelligenza del suolo”, dedicato alla risorsa più preziosa esistente sulla Terra, insieme all’acqua: il suolo fertile, una pelle molto sottile, fragile, facile da disperdere.
Un dono prezioso, frutto di millenni di presenza della vita sulla Terra, che stiamo consumando troppo in fretta. Soprattutto in Lombardia, dove l’avanzata di cemento e asfalto è inesorabile.
La “pelle” della Terra sono poche decine di centimetri fondamentali innanzitutto per due ragioni: perché danno nutrimento, cibo. E perché assorbono l’acqua. Due elementi con cui si deve fare sempre i conti, specie alla luce dei cambiamenti climatici, che impattano sull’agricoltura, causano siccità e piogge improvvise e (troppo) concentrate.
I primi 30 centimetri sono i più fertili, «quindici tonnellate di vita in ogni ettaro» spiega Paolo Pileri (nella foto di apertura: strato fertile reso visibile dall’erosione naturale, in riva al Ticino).
Eppure di ettari ne “consumiamo” moltissimi.
In termini di percentuali può ancora sembrare irrisoria (nel 2006 era consumato il 6,7% della superficie d’Italia, nel 2021 era salito al 7,1%, secondo i dati dell’Ispra), ma se si guardano i dati assoluti si capisce meglio: tra 2006 e 2012 – sull’onda della grande speculazione immobiliare, poi frenata dalla crisi – in Italia si sono consumati quasi 63mila ettari, qualcosa come centomila campi da calcio.
Dopo un periodo che aveva portato il consumo annuo intorno ai 5500-5600 ettari, negli ultimi anni si è tornati speso sopra i 6mila ettari all’anno.
Se il dato nazionale è preoccupante, in pianura padana diventa emergenza. Con un picco in Lombardia, passata dall’11,54% del suolo consumato nel 2006 al 12,1 del 2021.
E qui la concentrazione, fenomeno che riguarda tutta Italia, è notevole: sulle Alpi e sull’Appennino Pavese la quantità di suolo edificato è pochissima, ma tutta l’area di Milano (intesa in senso lato, fino al Basso Varesotto, alla Bassa Brianza, alla pianura Bergamasca) ha livelli di suolo occupato terrificanti.
La terra che dà nutrimento
Cosa significa consumo di suolo?
Quando il suolo viene sconvolto da una ruspa e sostituito da uno scavo o da una superficie asfaltata, viene rimossa la biodiversità (il 30% del totale delle diverse forme di vita è nei primi 30 centimetri) ma viene rimossa anche la fascia più fertile, generata da millenni di depositi. Terra fertile che serve a dare il cibo agli esseri umani, ovunque, in ogni continente: in media in Occidente ogni ettaro “sfama” 4,6 persone (è una media: si sono enormi differenze tra un vegano e un consumatore di hamburger).
Un tema reale: l’Italia produce solo il 70% delle proprie risorse alimentari, importiamo soprattutto di cereali, dai tempi in cui i velieri simbolo di una nota marca di pasta andavano a prendere grano in Ucraina. «Per questo dovremmo salvaguardare la terra: nel momento in cui si asfalta, si distrugge la terra per sempre».
L’acqua, risorsa e “minaccia”
Secondo tema: il suolo fertile assorbe acqua, la trasforma in vita o la custodisce in falda.
Ma come la pelle coperta di sale dopo un bagno in mare, se viene coperto da asfalto o cemento o altri inerti non “traspira” più, non assorbe.
Ed è un grosso problema soprattutto in occasione degli eventi atmosferici estremi, resi più frequenti dai cambiamenti climatici: «Si parla di bombe d’acqua, ma si dovrebbe parlare di bombe di cemento: l’acqua in presenza del suolo va nel terreno, ma se incontra un parcheggio o una urbanizzazione non scende e invade».
E da lì nasce una parte delle tragedie che colpiscono regolarmente l’Italia: le frane, gli allagamenti, le masse d’acqua che travolgono le strade come a Genova qualche anno fa. Costi umani incalcolabili, senza contare i costi economici per “mettere le pezze”, un tema con cui si dovrà fare sempre più i conti e che di solito vengono a galla solo quando c’è un problema locale, una frana che costa molto al Comune, un quartierino da sgomberare perché a rischio idrogeologico.
Un’emergenza in Lombardia
Terzo tema: il suolo è custode di carbonio, conserva quattro volte la quantità di carbonio che c’è in atmosfera e che oggi preoccupa per i cambiamenti climatici. Il grosso del carbonio rimane sottoterra, «a meno che non andiamo lì con una ruspa. Ma nell’impatto della costruzione di un’autostrada questo aspetto non viene calcolato».
Cantiere in allestimento a Casorate Sempione, nuova ferrovia Gallarate-MalpensaE qui si torna all’emergenza del fenomeno.
A partire da Lombardia, dove non si ferma la corsa al consumo di suolo fertile, nonostante già da un lustro sia entrata in vigore la Legge regionale che tenta di arginare il fenomeno: la provincia con maggiore consumo di suolo negli ultimi cinque anni è Brescia, con 898,5 ettari “inertizzati”. Segue Bergamo con 551,3, poi Milano con 436ettari. Segue poi la bassa pianura di Mantova, Pavia e Cremona (rispettivamente 597,3, 351,7 e 258,3 ettari consumati).
Rilevante, rispetto alle dimensioni della provincia, anche il dato di Varese, con 168,6 ettari: qui la pressione è soprattutto concentrata sull’area di pianura, tra Alto Milanese e Malpensa, dove sono in corso o in progetto anche ulteriori grandi opere.
La Legge regionale ammette tante deroghe, a partire dalle grandi e piccole opere pubbliche, tra autostrade, superstrade, aree logistiche pubbliche. La logistica è uno dei “motori” principali di consumo di suolo oggi: la stessa geografia dell’incremento in Lombardia e Piemonte restituisce un’avanzata in territori – Basso Varesotto, Novarese, Pavese, la grande Milano – centrali rispetto alle intersezioni tra mezzi di trasporto, ferrovie, aerei, autostrade.
Occhio al Pnrr
Con il rischio, secondo Pileri, dell’impatto ulteriore Pnrr, «il 27% dei 220 miliardi sono legati ad Alta Velocità e Autostrade». In alcuni casi il richiamo alla difesa del suolo come nutrimento degli esseri umani è evidentissima: succede ad esempio per i territori del Sud Milano e della Lomellina, dove gli agricoltori si sono mobilitati contro la nuova superstrada Vigevano-A4, progetto recentemente sbloccato (nonostante il parere negativo di Parco del Ticino e Città Metropolitana di Milano) e che tocca una delle aree agricole di maggior valore e produttività in Italia.
Ma non vanno sottovalutati anche tanti altri interventi di “piccole opere” Pnrr che hanno anche una utilità – una scuola, un ospedale – ma che incidono ulteriormente sul consumo di suolo fertile. Opere utili, per lo più, ma che diventano un problema nel quadro in cui si “deroga” troppo spesso alla necessità di difendere il suolo, specie in aree urbane.
Nel suo libro “L’intelligenza del suolo” Pileri recupera anche una battuta di “Mani sulla città” di Francesco Rosi: lì l’espansione della città viene immaginata come una «squallida estensione di terreno». Il suolo naturale come un vuoto, qualcosa di inutile, «sulle mappe urbanistiche è indicato in bianco».
Invece il suolo «non è superficie, è uno spessore»: è la risorsa più preziosa da difendere, insieme all’acqua. E i due temi sono collegati.
Paolo Pileri presenterà L’intelligenza del suolo” questa sera, 16 marzo ore 21, allo spazio Le radici e le Ali, Via San Rocco 48, Cuggiono
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