Zef Karaci: “In carcere la parola libertà ha mille sfumature”
È una storia di conversione e rinascita quella dell'ex detenuto che oggi riprogetta la sua vita al centro don Guanella di Barza. Karaci è l'autore di due libri dedicati a don Roberto, il parroco assassinato a Como nel 2020
L’hanno estratto dalla feccia, dopo averlo lasciato lì per anni, come tutti gli altri detenuti, ma ora per i media è “popolare”. Lui ha imparato a stare al gioco, sembra sgamato, ma a volte ha ancora l’espressione di chi chiede, “siete sicuri che volete me?” Zef davanti a un microfono o una telecamera, ancora fatica a sentirsi davvero a suo agio. Da delinquente a esempio per gli altri, una storia da prima pagina: l’etichetta che, inevitabilmente, gli viene appiccicata addosso gli sta stretta, si vede. Però è vero che non è più lo Zef di prima, ora ha negli occhi la stessa luce di un sole che sorge e illumina il mondo: «A volte mi sembra incredibile, ma invece è successo a me. E come si può non credere che sia opera di Dio, se un cretino come me ora è felice. Sto imparando e anche questo è bellezza. La vita non va mai come vuoi tu, tuttavia la vita anche la più sfigata o malandata è un incontro continuo con la bellezza. Si deve imparare ad accorgersene».
“E quindi uscimmo a riveder le stelle” e anche Dante, sotto il cielo del parco di Barza, regala un’emozione particolare. «Anche quello con Dante è un incontro che ho avuto in carcere», grazie a un “Virgilio” molto speciale, il professor Franco Nembrini, che lo fece innamorare della Divina Commedia. Zef Karaci è tornato un uomo libero da marzo, vive nella pace della casa Don Guanella, affiancando carcerati a fine pena, come lui, in cerca di riscatto.
«Ma la mia vita è cambiata molti anni fa, prima di arrivare qui a Barza. Uscire dal carcere non è difficile, ma spesso il carcere te lo porti dentro, questo è il vero problema. E leggendo Dante, ho capito che il paradiso è nel cuore di ogni uomo. E se l’ha capito uno come me, che era il peggiore, non può essere che un regalo di Dio». Le sue mani da lavoratore hanno toccato la rivoluzione, prima impugnavano armi, ora sfogliano libri. Legge, prega, lavora, sorride. A Barza, il viale del parco è rinato ha colpi di pala e rastrello, la sua e quella dei ragazzi in soggiorno dai Padri Guanelliani. «E mi è piaciuto tantissimo far fatica per riportarlo al suo splendore. Creare bellezza è un’emozione che dà un senso alle mie giornata, la bellezza che rinasce da piccoli gesti». La sua stella polare è Don Giussani, altro incontro imprevisto per uno che avrebbe potuto marcire in carcere, incontro avvenuto attraverso le parole e le pagine di libri che, lo Zef di prima, non avrebbe mai letto: «In prigione arrivai dopo anni in cui feci cose tremende. Le peggiori che possano venire in mente. E una volta dentro, ero addirittura peggiorato: andavo a menare i collaboratori di giustizia, non li sopportavo. Ero un violento, pessimo. Mi mandarono nel carcere degli irrecuperabili, a Como. E lì, per puro caso incontrai una ragazza che faceva volontariato e mi lasciò un libro di don Giussani dal titolo “Il senso religioso”. Lo schifavo, m’infastidiva pure quello. Una volta, per sfida, provai a leggerlo ed era pallosissimo, non ci capivo niente. Poi, non so come, una notte lo ripresi in mano e fu una vera illuminazione. Sì, da quella volta, mi è cambiata la vita».
Zef confida con schiettezza che lo sa eccome, da dove è venuto lo stimolo: «Sì, mi piaceva quella ragazza e per dimostrarle qualcosa, ho terminato quel libro. E chi l’avrebbe detto che così avrei incontrato Dio? Inizialmente, tra le pagine, mi saltò agli occhi una parola scritta da don Giussani: era “libertà”. E un prete che parlava di libertà a un reietto come me, mi sembrava una provocazione». In carcere, la parola libertà ha mille sfumature, ma il pensiero o l’illusione ricorrente. Zef l’ha conquistata pagina dopo pagina, attraverso la lettura di oltre duemila libri e, soprattutto, grazie a una conversione che, se non fosse per quella luce autentica negli occhi, si stenta a credere.
Don Roberto Malgesini: un’amicizia vera, due libri
Le parole di Don Giussani furono solo l’inizio di una serie di incontri che possono cambiare la vita anche al più irrecuperabile dei carcerati: decisiva, per Zef, l’amicizia con don Roberto Malgesini, il prete di strada assassinato a Como nel 2020. «Ho ricevuto il dono di conoscerlo e di averlo come amico. Veniva in carcere due o tre volte la settimana, non era un prete di curia e teologia, ma sapeva ascoltare. Ascoltare anche quelli come me». Zef, quello di prima sapeva a malapena scrivere, quello di adesso scrive due libri dedicati proprio all’amico don Roberto, libri che stanno avendo molto successo.
«E pensare che da ragazzo ero davvero un pessimo cristiano. I miei genitori, in Albania, erano cattolici, ma prima che cadesse il comunismo, la religione era proibita. Erano cattolici clandestini. Poi le cose cambiarono e volevano che andassi a catechismo, a Lezhe, la mia città: io ci andavo, anche lì, perché c’era una ragazzina bellissima che ci andava. Il prete mi metteva in prima fila e io non stavo mai fermo, mi voltavo a guardare quella ragazzina seduta più indietro: ogni volta, il prete mi rifilava un colpo in testa con un righello e mi faceva malissimo. Per cui, prima della mia conversione, prima di don Roberto che mi ha insegnato il perdono e l’accoglienza, associavo il cristianesimo ai colpi di righello e al dolore in testa».
Vivace, un po’ scapestrato, appassionato di lotta greco-romana, Zef a 17 anni salì su un gommone e fuggì in Italia: raggiunse lo zio che aveva un cantiere edile a Bergamo e lavorando con lui ebbe un grave incidente precipitando da un ponteggio. Riuscì a sopravvivere, ma nel frattempo, lo zio morì e il lavoro andò a rotoli. Zef, in quella situazione, iniziò a frequentare una banda che controllava lo spaccio di droga nella zona, una delle bande più violente, di cui divenne un leader. «Non ho giustificazioni, non mi sento una vittima, in carcere però avevo una rabbia che non riuscivo a controllare. Fino a quell’incontro straordinario». Don Giussani, don Roberto, ragazze carine come volontarie e continui stimoli, capaci di farlo diventare in pochi mesi un insegnante di grafica pubblicitaria per gli altri carcerati. Oggi, a Barza, fa il tuttofare: giardiniere, aiuto pizzaiolo, muratore e soprattutto è un ottimo aggregatore, perfetto nel fare squadra con i carcerati che arrivano alla Casa don Guanella per il progetto di integrazione che stanno portando aventi con i detenuti a fine pena.
Incontri che fanno la rivoluzione: spirituale e concreta
E gli incontri non finiscono mai, soprattutto con i ragazzi delle scuole o del movimento, come lo chiama lui. A volta parla come un libro stampato, altre volte è straordinario nella sua schiettezza, come quella volta che parlò in pubblico al meeting di Rimini: «Feci notare come la bellezza e la perfezione dell’idea di don Luigi Giussani fosse in contrasto con l’imperfezione dei ciellini, io in primis» e le sue parole conquistarono molti, ma non piacquero ad altri. Poi ci fu l’incontro con i due pontefici e Papa Francesco volle conoscere la sua storia: «Anni fa, quando ero ancora in carcere a Como, prima di arrivare a Barza, riuscii a partecipare al Giubileo dei carcerati e, ingenuamente, quando vidi il Santo Padre, lo avvicinai per un selfie. La sua scorta mi saltò addosso e rischiai non poco. Fu il papa a ristabilire la calma: “Lui deve fare una foto con me”, disse alle guardie. Mi conobbe così e ascoltò il racconto della mia vita. Mi chiese poi di esprimere un desiderio, io scelsi di incontrare anche papa Benedetto, regalo che mi fu concesso e fu un’emozione che mi porto nel cuore».
Incontri, oltre le sbarre
Oggi, Zef incontra giornalisti, studenti, carcerati e parla al mondo di un altro incontro, quello con una fede intima e profonda, che si traduce nei fatti e nei pensieri in un’ostinata ricerca di bellezza divina. Nelle giornate di lavoro, nella quotidianità non facile, persino in un futuro incerto: «Le difficoltà aiutano a crescere, l’ho imparato finalmente. La vita è un dono e non è una frase fatta. Il tempo, quello sì, non va sprecato. E al resto ci pensa Dio». A Barza, facendo comunità con gli altri ragazzi, attende che la giustizia italiana decida su quel che sarà la sua vita: «Qui è un paradiso, ma sebbene si siano spesi in tanti per me e il mio futuro, dal Papa a tanti amici, non so se potrò rimanere qui. Io al mio futuro chiedo soltanto di essere amato. Davvero. Poi, il resto lo vedremo». Il resto dipende dalla legge italiana che, in teoria, per un ex detenuto straniero con una fedina penale piena di reati, prevede l’espulsione: perché per la burocrazia conta lo Zef di prima, il delinquente entrato in carcere, e non lo Zef di adesso, quello reintegrato nel mondo e nella società. La nostra Costituzione e il nostro ordinamento penale per una volta hanno vinto, ovvero hanno ottenuto la rieducazione e l’integrazione di Zef nella società, ma le cose non sono così semplici. La libertà che aveva già, ma che non vedeva Ha quarant’anni Zef, diciotto dei quali passati in carcere, ma ha una vita davanti. Non pensa a polemizzare, «ne ho combinate tante, non è il caso».
Una vita, ha imparato, è tempo prezioso da non sprecare. Per questo, il suo messaggio ai giovani è credibile: «Sì, questo mondo ti fa porta alla competizione continua, vieni giudicato in base a numeri, voti, ma ai giovani dico di non pensare a essere perfetti. Nella vita si sbaglia, si può sbagliare. Non perdete tempo a inseguire una perfezione sbagliata e pensate a essere felici. Cercate la bellezza, un’appartenenza, un legame con qualcuno che vi vuole bene per quello che siete». Zef Karachi è tornato libero, libero per davvero, perché “dai diamanti non nasce niente…” Forse un volo lo riporterà in Albania, forse potrà rimanere lì, tra il lago e la campagna: a spingere carriole, a potare piante, a creare bellezza, a leggere Dante, a pensare ai suoi maestri, a dialogare con Dio. La sua vita l’hanno decisa gli incontri e nel bel parco della Casa Don Guanella presto qualcuno arriverà a indicargli la strada: in auto, a piedi, attraverso le pagine di un libro o dentro una preghiera. La luce dell’alba, di un nuovo giorno, Zef la costudisce orgoglioso in quei suoi occhi chiari, che non sono più rivolti al pavimento, ma guardano su, comunque vada.
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