Vittime di un complotto o mafiosi? La storia miliardaria dei fratelli Abilone, da Castelvetrano a Taino
La Dda di Milano li colloca tra i protagonisti del sistema mafioso lombardo. Arrivati col papà muratore dal paese di Messina Denaro 30 anni fa ora si difendono: "Non siamo mafiosi"
Si difendono pubblicamente con una lettera Rosario e Giovanni Abilone, inviata a tutti i giornali d’Italia, nella quale dicono di non essere dei mafiosi e di essere vittima di un complotto. I loro nomi, non nuovi all’autorità giudiziaria, compaiono nell’inchiesta Hydra della Dda di Milano che ha svelato quello che è stato definito il sistema mafioso lombardo che mette insieme in una sorta di consorzio mafia, ‘ndrangheta e camorra.
Dal papà muratore alla zona dei “ricchi” di Taino
I due fratelli, nati a Castelvetrano (paese di Matteo Messina Denaro) ma residenti nel piccolo centro di Taino, dai primi anni ’90, ne hanno fatta di strada da quando il papà Salvatore, umile muratore, si era trasferito insieme alla famiglia (moglie e quattro figli). Oggi abitano nella zona più ricca del paese e sono molto conosciuti anche se nessuno sa bene che lavoro facciano.
La parte trapanese del consorzio sistema mafioso lombardo
Secondo il sostituto procuratore Alessandra Cerreti della distrettuale di Milano, però, «rappresenterebbero la componente trapanese del sistema mafioso lombardo». Alle spalle hanno una condanna per frode informatica (Rosario) e diversi carichi pendenti, riferibili a procedimenti penali aperti nei tribunali di Milano e di Varese, per reati di associazione per delinquere finalizzata alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, emissione fatture per operazioni inesistenti e indebita compensazione, impiego danaro beni o utilità di provenienza illecita e altro.
Vittime di un complotto
Secondo la loro versione sono vittime di un complotto ordito da anonimi personaggi romani che, «con la collaborazione della Guardia di Finanza di Varese, dell’ex-procuratore capo Borgonovo e dell’ex procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini», avrebbero incastrato gli Abilone con la collaborazione di un commercialista che ha lavorato per la Leonardo Da Vinci spa, società a loro riconducibile al centro di enormi flussi di danaro sotto forma di crediti Iva per centinaia di milioni di euro. A raccontare questo complotto una fantomatica lettera anonima che avrebbero ricevuto alcuni anni fa (mai ritenuta rilevante dagli investigatori, ndr).
Un capitale da 1,2 miliardi di euro
In particolare Abilone Rosario risulta amministratore di fatto della società con sede a Varese, società che – secondo la Procura locale – avrebbe generato fittiziamente quasi 1,2 miliardi di euro, con l’esposizione di fittizi crediti iva per oltre 135 milioni di euro, nonché, imposta complessivamente evasa, in soli termini di iva, pari ad oltre 334 milioni di euro. Un’altra più recente indagine in cui sono coinvolti, seppur non figurando come indagati, i due fratelli unitamente al loro padre Salvatore (deceduto per malattia nel 2020) è stata coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano denominata “Habanero”.
Nell’indagine Hydra per un credito che si trasforma in estorsione
I due fratelli castelvetranesi finiscono nelle 5 mila pagine dell’inchiesta Hydra per i rapporti con Gioacchino Amico, si parla di una pretesa economica dei due fratelli nei confronti dell’amministratore di un gruppo e riconducibile alla cessione di crediti d’imposta fittizi; pretesa che sarebbe sfociata poi in un’estorsione da parte dei due fratelli e alla quale tenterà di mediare proprio Gioacchino Amico, a sua volta detentore occulto della Cooperativa Logistica 2000, società nell’orbita del predetto gruppo aziendale.
Lo zio che comanda tutta la Sicilia
Gli investigatori non ci mettono molto a ricostruire i legami che gli Abilone la compagine mafiosa siciliana originaria di Castelvetrano grazie anche alle intercettazioni. I due fanno ripetuti riferimenti alla caratura criminale del loro incensurato zio, marito della sorella della loro madre, che «comanda tutta la Sicilia». La Dda definisce «non di poco conto il suggestivo contesto familiare in cui è inserito lo zio, come la parentela acquisita con la nota famiglia mafiosa siciliana dei Bontate, poiché suo nipote è sposato con la figlia dell’avvocato Giovanni Bontate (assassinato unitamente alla propria moglie nel 1988), a sua volta figlio del boss Francesco Paolo Bontate, meglio conosciuto come “don Paolino” e fratello di Stefano Bontate (conosciuto come il “Principe di Villagrazia”, assassinato nel 1981 durante la guerra di mafia che portò al vertice dell’organizzazione la famiglia dei Corleonesi capeggiata da Luciano Liggio e in seguito da Salvatore Riina».
Specializzati nella commercializzazione di crediti d’imposta
La loro specializzazione, secondo la relazione datata 2021 dell’Agenzia delle Entrate di Varese, l’illecita commercializzazione di crediti d’imposta da parte delle società Top Servizi S.r.l e Dag-Feo S.r.l., che le indagini hanno accertato essere nella disponibilità degli Abilone (i quali in un intercettazione si vantano di averne a disposizione circa 200). Nello specifico, facendo riferimento ai periodi di imposta 2019 e 2020, vengono riepilogate le principali cessioni e compensazioni fraudolente effettuate dagli Abilone a favore di soggetti coobbligati, sia per l’esistenza di un contratto strumentale alla cessione regolarmente registrato e sia a favore di soggetti con i quali non risulta registrato alcun contratto. Secondo l’agenzia si tratta di operazioni finanziarie che avvengono a fronte di dazioni occulte di denaro a favore dei due fratelli, molte delle quali documentate dalle acquisizioni tecniche.
Una squadra di notai, commercialisti e prestanome a disposizione
La relazione dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate di Varese fornisce inoltre elementi di valutazione riguardo alle condotte illecite e fraudolente di una serie di professionisti asserviti: commercialisti e notai asseverano e producono documentazione a supporto oltre ad una schiera di prestanome tra persone disagiate o in difficoltà economiche, anche all’estero (Egitto, Tunisia, Algeria) disposte a raggranellare anche poche centinaia di euro in cambio di firme su documenti di cui non conoscono nemmeno i contenuti.
In affari con tutti e con nessuno
La disponibilità di ingenti volumi di crediti d’imposta generati fittiziamente, sia tramite società cartiere da loro occultamente detenute e sia tramite la compiacenza di imprenditori con la messa a disposizione delle loro società; crediti d’imposta che avrebbero messo a disposizione del sistema mafioso lombardo, creando una fitta rete di rapporti di interdipendenza con le varie strutture criminali di diversa provenienza: sia di origine siciliana, sia di matrice camorristica e sia con soggetti attigui a cosche di ‘ndrangheta. Tra l’altro, riguardo a quest’ultimo legame e come già anticipato, anche nella già richiamata indagine “Habanero” sono state documentate cessioni di crediti fittizi tra società riconducibili agli Abilone e soggetti dichiaratamente appartenenti a consorterie di ‘ndrangheta, come Francesco Maida, indicato come attiguo alla cosca Farao-Marincola.
Concorrenza azzerata e cooperative come veicolo
Spiegano gli investigatori che «naturalmente le plurimilionarie ed illimitate disponibilità finanziarie degli Abilone sotto forma di crediti d’imposta generati in maniera fittizia, costituiscono il capitale di cui le compagini si servono per permeare il tessuto economico nazionale, sbilanciando a loro favore le leggi economiche del libero mercato e, sbaragliando, in tal modo, qualunque concorrenza. In particolare sono le cooperative il veicolo preferito per infiltrarsi in appalti pubblici (mense di organismi statali tra le quali quelle dei Carabinieri e della Polizia o della Rai), parcheggi di ospedali (come emerso con Logistica 2000) prevalentemente con il sistema del subappalto, compensando, con i crediti messi a disposizione dai due fratelli castelvetranesi, gli oneri contributivi dei dipendenti ovvero portando in detrazione l’IVA falsamente attestata. Il risparmio creatosi con il credito di imposta acquisito dalla cooperativa al 30/40% del suo valore nominale, consente di ridurre il prezzo lordo per ogni ora di lavoro del singolo dipendente. Tale espediente permette alla cooperativa di proporre sul mercato prezzi per la manodopera assolutamente sottomercato ma che tuttavia garantiscono, a differenza di ciò che potrebbe accadere per una cooperativa che opera nell’alveo delle condotte lecite, margini di guadagno considerevoli.
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.