Nel bosco del Promé. A Trarego i ragazzi ascoltano la voce dell’ultimo partigiano del Verbano
La commemorazione della "Volante Cucciolo" coinvolge ogni anno gli studenti del Cobianchi, lo stesso istituto frequentato 80 anni da da alcuni dei giovanissimi partigiani. Il messaggio: "Non siate indifferenti"
Non c’è la neve abbondante, sui versanti del Promé, la neve che copriva il bosco e i pascoli nel febbraio 1945.
Nella giornata di martedì 20 febbraio la temperatura supera i 15 gradi e salendo nel bosco i ragazzi e le ragazze dell’istituto Cobianchi di Verbania aprono le giacche, una ragazza indossa la felpa della scuola: si sale nel bosco verso il sacrario della “Volante Cucciolo”, dove una croce ricorda sette giovanissimi partigiani caduti il 25 febbraio del ’45.
Il Promè era un alpeggio di Trarego, sopra Cannero e il lago Maggiore, e con il nome di Trarego è stata tramandata la memoria di quella strage di febbraio che cancellò la “Volante”, la squadra veloce della Brigata autonoma Cesare Battisti. Sette ragazzi torturati e uccisi, i corpi oltraggiati, quasi senza senso, in quei giorni in cui già si presagiva la caduta del nazifascismo: due mesi dopo la guerra era finita.
I canti del coro “Volante Cucciolo” – promosso dall’Anpi – intonano canti di lotta e di lutto, ma la cerimonia non è solo lutto, anzi.
Il sindaco di Trarego-Viggiona Sebastian Nicolai, ancora trentenne per pochi mesi, sa come parlare alle ragazze e ai ragazzi dell’istituto Cobianchi, che frequentano lo stesso istituto di Verbania di cui erano studenti alcuni dei partigiani del ’45: «Non dobbiamo mai essere indifferenti», dice, parla dei cambiamenti climatici, della morte di Navalny ricordato come oppositore di Putin. «Cerchiamo la piccola azione che fa la differenza».
Un discorso che però è anche politico, in senso alto: «L’antifascismo non è di destra né di sinistra, dovrebbe – e lo è – un valore unificante», dice, citando poi la lettera della dirigente scolastica di Firenze (poi messa “sotto accusa” dal ministro all’istruzione Valditara).
L’orazione ufficiale dell’Anpi è stata affidata a Franco Chiodi, che ha ricordato alcune particolarità dell’eccidio di Trarego: la repressione che colpì anche i civili sostenitori dei partigiani (tre le vittime), il fatto che sia una strage internamente frutto della ferocia fascista, tutta coordinata ed eseguita da italiani, senza contributo dei tedeschi.
Il racconto di Arialdo Catenazzi
Nel bosco che sa di primavera oggi il bosco del Promé è un luogo dolce, tra lo specchio lucente del lago, i ponti in pietra dove i ragazzi fanno foto di gruppo, le cascate che gorgheggiano (nelle acque sotto a un ponte, semiassiderato, si nascose Nino Chiovini, divenuto poi testimone per decenni della Resistenza tra Valgrande e Verbano).
Su per quei boschi, quest’anno, non è salito l’ultimo testimone, Arialdo Catenazzi, 97 anni e pensiero ancora saldo: «Sta a voi, che dovrete affrontare la vita, partecipare, attivarvi» ha detto agli studenti del Cobianchi prima che il gruppo salisse al Promé. «Se si sta nel menefreghismo si ritorna ai tempi bui che abbiamo vissuto noi. Ai tempi del fascismo non potevamo neppure leggere un libro straniero».
Catenazzi – diciassettenne al momento dell’armistizio del 1943 e all’avvio della Resistenza – è stato attivo come militante clandestino a Intra, poi una volta scoperto è dovuto salire sui monti. «La Volante Cucciolo rappresentava il meglio dei partigiani di allora, erano quelli che facevano azioni ogni giorno» ha raccontato ai ragazzi e alle ragazze. «Quando si era in montagna si era come fratelli: quando c’era qualcosa si mangiava insieme, quando si doveva saltare il pasto si saltava tutti insieme»
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