Cristina Cattaneo a Leggiuno: “Restituire l’identità ai morti nel Mediterraneo è un dovere”
Il medico legale ha tenuto un incontro dove ha raccontato del suo impegno in merito all’identificazione dei migranti scomparsi nel naufragio del 3 ottobre 2013. "Abbiamo presentato più di una mozione per una legge che obblighi al riconoscimento di ogni persona scomparsa in mare"
Gli oggetti hanno tanto da raccontare. Un cellulare, una bibbia, una collanina, una piccola fotografia sbiadita, un paio di occhiali da sole. Le pagelle di scuola, la tessera della biblioteca, il certificato di abilità al lavoro, dei sacchetti grandi quanto un accendino per contenere i granelli di sabbia della propria terra. «Li ho trovavo avvolti nelle pellicole e nascosti tra il tessuto delle giacche indossate da alcuni adolescenti durante la traversata. Avevano addosso un impermeabile, la maglietta della squadra di calcio, in tasca le cuffie per il cellulare. Cose comuni che ci fanno capire come questi ragazzi sono così simili ai nostri».
Cristina Cattaneo è un medico legale dalla lunga esperienza alle spalle, uno volto conosciuto. Negli anni si è occupata anche di casi di cronaca nazionale, ma a Leggiuno ha portato la testimonianza del suo impegno in merito all’identificazione dei migranti scomparsi nel naufragio del 3 ottobre 2013. Una delle più grandi tragedie del Mediterraneo, con 368 persone morte per il naufragio di un peschereccio in cui erano ammassati in quasi 600. Nella mostra “La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo” in esposizione all’Eremo di Santa Caterina è possibile vedere proprio alcuni degli oggetti recuperati in mare.
Docente universitaria e responsabile scientifico del LABANOF (il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano), Cristina Catteneo, spiega: «Ogni morto senza un nome è una persona scomparsa che qualcuno sta cercando», racconta. «Il naufragio del 3 ottobre 2013 è stato il primo in cui abbiamo iniziato l’identificazione delle persone morte in mare, prima nessuno faceva nulla. Ci siamo chiesti perché. A quel punto ci siamo rivolti all’allora Prefetto Vittorio Piscitelli e grazie alla presenza di un piccolo ufficio di governo, l’Ufficio straordinario delle persone scomparse, abbiamo potuto iniziare questo lavoro».
«Restituire l’identità ai morti è un diritto sancito dalla Convenzione di Ginevra. Ma non è solo questo, è un processo importante per tanti motivi. Il primo è quello di dare dignità ad una vita che non c’è più. Il secondo è il diritto alla salute mentale delle persone care che restano vive e che hanno bisogno di conoscere cosa è successo, storie come quella dei Desaparecidos in Argentina o le vittime della guerra in Jugoslaviaci ci hanno insegnato che i familiari di persone che non hanno mai trovato i loro morti sviluppano gravi malattie psicologiche e fisiche. Infine, ci sono tutte quelle questioni amministrative che sono importanti per i ricongiungimenti familiari per le vedove o da orfani, ad esempio».
L’incontro, organizzato da Archeologistic, si è tenuto nella chiesa dell’Eremo, davanti ad un pubblico attento e silenzioso, attonito ed emozionato dalle parole del medico legale. «Siamo difronte al più grosso disastro dei nostri tempi, ma non lo percepiamo come tale. Solo negli ultimi 12 anni e solo nel Mediterraneo sono stati trovati almeno 40mila morti, ma questi sono solo la punta dell’iceber. Non ne abbiamo contezza perché è un disastro di massa diluito nel tempo e nello spazio, in Italia, Malta e Grecia».
E spiega: «C’è un luogo comune sbagliato, quello che i familiari dei migranti non abbiamo bisogno di elaborare il lutto perché sono di altre culture ma non è così. O ancora, che non sia possibile procedere all’identificazione, ma abbiamo dimostrato che non è così anche se la cosa può risultare difficile».
Continua: «C’è la necessità di creare una banca dati condivisa tra gli stati, come succede già per altre situazioni. Inoltre, ci siamo più volte interfacciati con la politica per chiedere che venga fatta una legge che obblighi all’identificazione dei corpi morti in mare. Abbiamo presentato una mozione nel 2016 e poi nel 2018. Siamo stati alla Commissione dei diritti umani al Parlamento Europeo e pochi giorni fa al Consiglio di Europa». Cristina Cattaneo nel suo impegno, insieme a colleghi, ha aperto anche il Musa, il Museo universitario delle scienze antropologiche mediche e forensi per i diritti umani che si trova a Milano: «È importante vedere per capire quello che sta succedendo, come in questa mostra all’Eremo, perché gli oggetti raccontano tantissimo e sono un potente strumento di avvicinamento».
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