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“Salvate il tunnel del Sempione!”. 75 anni fa l’impresa per evitare il sabotaggio

I tedeschi avevano accumulato tonnellate di esplosivo. Nella notte tra il 21 e il 22 i partigiani fecero saltare il piano, salvando la doppia galleria e il paese

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È stata forse la più grande e importante impresa attuata dalla Resistenza in Ossola: il salvataggio della doppia galleria del Sempione, che i tedeschi in ritirata volevano far saltare in aria. Si misero di mezzo i partigiani della 83esima Brigata Garibaldi “Comoli” , che nella notte del 21-22 di aprile fecero esplodere (senza conseguenze) l’esplosivo ammassato a Varzo.

Una operazione, richiesta anche dagli Alleati, che salvò la galleria, il futuro dei rapporti tra Ossola e Vallese e anche il piccolo paese di Varzo, che rischiò di essere distrutto.

I tedeschi avevano infatti portato alla stazione della val Divedro tonnellate di esplosivo e cariche da artiglieria navale, accatastate in carri ferroviari e in un casello. L’operazione era stata intercettata e segnalata da due elvetici che lavoravano come agenti segreti partigiani, il doganiere Peter Bammatter e il ferroviere Mario Rodoni (foto Bammatter da: Augusto Rima, “Come il Canton Ticino ha vissuto la guerra totale). Dell’operazione doveva essere incaricato il 15° battaglione SS Polizei, come ricostruito nello studio dello storico elvetico Rudolph Rues.

Gli Alleati erano pronti a inviare «le fortezze volanti a bombardare»: sacrificare il paese di Varzo per salvare l’infrastruttura che serve a valicare le Alpi, a collegare il Sud e il Nord Europa.

Il 21 aprile Ugo Scrittori “Mirko”, comandante della 83a Brigata Garibaldi Comoli, chiamò a raccolta i suoi uomini e passa all’azione: “Le ripercussioni dell’azione a voi commissionata e che deve riuscire ottimamente, saranno addirittura mondiali” disse ai suoi ragazzi. “E non solo ne rimarranno onorati gli autori, ma il merito di essa ricadrà anche su tutti i compagni patrioti che avranno assicurata la possibilità di vantaggiosissimi accordi con la Svizzera, accordi che verranno stipulati soltanto a patto che rimanga efficiente la linea del Sempione”.

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I protagonisti dell’azione, tornati sul luogo dopo la fine del conflitto: tra loro Ugo Scrittori, Fulvio De Salvo “Pier”, don Gaudenzio Cabalà di Domodossola

Il 21 aprile il Battaglione Fabbri, la Volante Alpina e il Battaglione Camasco sbarrarono gli ingressi al paese e  circondarono l’albergo Tronconi, dove era installato il comando nazista, e l’albergo Milano, dove c’è un altro distaccamento nemico.

I capistazione e gli altri ferrovieri fornirono le ultime informazioni di “intelligence”. A mezzanotte e mezza del 22 marzo scatta la complessa operazione di distruzione dell’esplosivo accumulato dai tedeschi per minare la galleria del Sempione: Tarzan e Athos immobilizzano, a due a due, le quattro sentinelle. I partigiani di  “Mirko” hanno poco tempo: alle 4 è previsto il cambio delle sentinelle. Le cassette di esplosivo vengono trascinate e fatte rotolare verso la scarpata sotto la stazione, verso il letto del torrente Diveria.

Quando manca poco alle 4 ci sono ancora 500 cassette di tritolo accumulate nel casello: Mirko ne fa distribuire una parte all’esterno creando “un cordone” per riuscire a innescare a catena tutto l’esplosivo sparso, dal casello alla scarpata. Il cielo viene illuminato a giorno dai bagliori dell’incendio, anche i reparti lontani vengono subito a sapere che l’operazione è riuscita.

Dopo la guerra, in cambio dell’impresa, i partigiani ricevettero trenta orologi e la somma di 5.000 franchi svizzeri, concessi dalle Ferrovie federali e da dividere tra tutti i partecipanti. In Svizzera l’operazione venne poi ricordata trent’anni fa anche dal film Dynamit am Simplon,  del 1989.

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Una immagine del film Dynamit am Simplon

Nelle stesse ore i partigiani misero in sicurezza anche le centrali elettriche e le dighe, impedendo ai tedeschi di distruggerle. Molte erano proprietà dei “capitani” dell’industria elettrica, tra i maggiori sostenitori del fascismo nel 1920-22. Ma erano anche un capitale: quello da cui doveva ripartire l’Italia, distrutta e stremata dalla guerra ma pronta a rinascere in pace.

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Roberto Morandi
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare.
Pubblicato il 22 Aprile 2020
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