Lo spettacolo sotterraneo, le cave del Lago dei Sabbioni
Due giorni “sottoterra” in Val Formazza, a 2500 metri, con l’obiettivo di riscoprire una “miniera” scavata durante la costruzione della diga dei Sabbioni
«Dove c’è una cavità ipogea, naturale e artificiale, e una buona dose di fascino e mistero … noi ci siamo». Con una filosofia del genere, gli speleologi di UNEX Project (Underground Exploration Project) non potevano certo lasciarsi sfuggire la suggestiva proposta del CAI (Club Alpino Italiano) di Somma Lombardo, che gestisce il proprio rifugio a poca distanza, nella splendida cornice del lago dei Sabbioni: una spedizione di due giorni per esplorare e documentare una delle cave in Alta Val Formazza, dove, a 2500 metri sul livello del mare, si trova il lago dei Sabbioni, bacino artificiale nato negli anni ‘50 dopo i lavori all’omonima diga.
E così il 19 e 20 settembre 2020, quando ancora il bel tempo e l’estivo e momentaneo attenuarsi della pandemia rendevano possibile organizzare esplorazioni, i membri di UNEX, con il supporto del Gruppo Grotte CAI di Gallarate al quale sono associati, si sono impegnati in un lavoro di ricognizione e documentazione di una miniera scavata durante la costruzione della diga. Una data, quella della spedizione, scelta con cura dal team, perché per lunghi tratti dell’anno la cava rimane parzialmente allagata, e quindi non accessibile, oltre che le difficoltà tecniche legate al raggiungimento in quota per la presenza di neve.
«Nonostante in passato qualcuno del nostro gruppo avesse già avuto occasione per una piccola esplorazione, questa volta abbiamo avuto la fortuna di addentrarci nella cava in modo più dettagliato» racconta Simone Bertesago, membro di UNEX insieme a Cristian Mazzucchelli, Daniele Pellizzaro, Elena Tamolli e Alex Briatico.
Per l’ingegneria del tempo, la struttura “cava” della miniera in Val Formazza rappresentava una novità, con il cemento portato dalla valle tramite una teleferica, mentre la ghiaia veniva recuperata sul posto. «Quella al lago artificiale dei Sabbioni – spiega Bertesago – si presenta come una miniera ma in realtà sarebbe più corretto definirla come più una cava. Le esplosioni all’interno della montagna crearono una “sorta di imbuto”, così il materiale frantumato cadeva in due tramogge e veniva in seguito portato e separato in un sito adiacente alla diga, in modo tale da ottenere il prodotto desiderato».
Nel corso dell’esplorazione la squadra ha dovuto superare zone di frana, riuscendo tuttavia a notare alcuni degli attrezzi e congegni utilizzati all’epoca, come le graffe, i gradini delle scale e quel che oggi rimane delle tramogge in legno, a distanza di quasi 70 anni, in uno sufficiente stato di conservazione.
«Parecchie persone tentano di entrare nella cava – aggiunge Marco Venegoni del Gruppo Grotte CAI di Gallarate, che ha preso parte alla ricognizione – ma la presenza dell’acqua, l’oscurità e l’altezza molte volte fanno desistere ipotetici esploratori. Noi ci siamo recati alla cava della diga proprio per questo tipo di lavoro, attrezzati con il giusto equipaggio e tanta preparazione. In passato ho avuto la fortuna di insegnare speleologia ai ragazzi di UNEX; continuare oggi a esplorare e imparare insieme a loro non può che farmi piacere».
«Le situazioni di rischio purtroppo ci sono sempre – sottolinea Bertesago –, è indispensabile infatti avere una preparazione tecnica e psico-fisica per vincere paure come claustrofobia le difficoltà che un ambiente sotterraneo può generare».
Prima della spedizione, non può mancare il consueto lavoro di studio preliminare, possibile anche grazie ai documenti e una testimonianza video realizzata da Ermanno Olmi negli anni ‘60. Ed è anche per questo che oggi UNEX è impegnata nella produzione di foto e video. «Ci piace poter lasciare qualcosa in eredità a chi verrà dopo di noi, ci piace poter condividere le informazioni con le altre persone – conclude . Conoscere un sito prima di una perlustrazione sul campo semplifica in parte il lavoro, permettendo una migliore organizzazione».
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