Sul luogo dell’Hotel Meina si ricorda la strage del 1943
Per lunghi anni era rimasto un "buco nero", con il rudere dell'hotel che fu al centro dell'eccidio compiuto dalle SS e poi con le erbacce. Ora simbolicamente diventa un luogo riconosciuto
Risuona lo shofar – il corno ebraico usato nelle preghiere – a Meina, davanti alle acque azzurre del Lago Maggiore. Risuona là dove 78 anni fa sorgeva l’Hotel Meina, luogo simbolo della strage degli ebrei del lago Maggiore, tra settembre e i primi di ottobre del 1943.
Per lunghi anni il punto dove sorgeva l’hotel è divenuto in un buco nero, sul lungolago: prima l’albergo abbandonato, poi uno spiazzo vuoto e incolto. Oggi è diventato una piccola piazza aperta sul lago: per la prima volta si celebra qui il ricordo della strage degli ospiti ebrei dell’hotel Meina, trucidati il 22 settembre 1943.
«Forse non c’era un luogo per ricordare, ora c’è un posto per trovarsi e fare memoria» ha detto il sindaco di Meina Fabrizio Barbieri, parlando per la prima volta nella nuova piazza e ringraziando i concittadini intervenuti alla prima commemorazione sul posto.
A pochi passi dallo spazio, ci sono le sedici “pietre d’inciampo” posate sei anni fa in ricordo delle sedici vittime della strage a Meina. «Ma sul lago si calcola siano stati più di cento gli ebrei uccisi» ricorda Aldo Luperini, presidente emerito della comunità ebraica.
«Nei libri si legge di camion che partivano dal lago carichi delle proprietà delle famiglie ebree, rubate dalle Ss e dirette in Germania». La memoria di quei fatti – visti allora da tutti – è stata problematica per anni, non sempre lineare, silenziosamente rimossa.
Solo dal 1993 (con il libro Hotel Meina del giornalista Marco Nozza) si iniziò a collegare i diversi episodi del Lago Maggiore (anche ad Arona, Baveno, Mergozzo, Intra) e a inserirli nel quadro complessivo delle persecuzioni in Italia. Un grande contributo di testimonianza diretta venne poi da Becky Behar, la ragazzina allora quattordicenne, figlia del proprietario dell’albergo, il cui instancabile racconto risuona ancora oggi, a 12 anni dalla scomparsa nel 2009.
«Becky Behar incontrava ogni anno i ragazzi di Castelletto Ticino, dopo l’incontro scriveva poi a tutti gli alunni» ha ricordato Pietra De Blasi, dell’associazione La Stella Alpina, erede dei partigiani della zona. De Blasi ha selezionato una frase di Becky Behar, in una lettera del 7 aprile 2005 rivolta a uno studente: «Un giorno sarete voi a raccontare quello che è successo sul vostro lago. A tutti quelli che vi diranno che non è vero, dovrete rispondere che Mussolini, non Hitler, nel 1938 ha emanato le leggi razziali in Italia. Che le stragi le hanno compiute i tedeschi, ma per denuncia di italiani fascisti. Fate in modo che non si ripeta e dite: mai più.»
Rossana Ottolenghi è la figlia di Becky Behar. Oggi, da psicologa, cerca di dare non un senso ma una prospettiva a quel che accadde allora: «Qui, di fronte a questi alberi che cresceranno di anno in anno, si congiungono il nuovo e il vecchio: c’è una elaborazione di quello che è stato e c’è una progettazione per il nostro futuro» ha detto parlando ai presenti alla cerimonia.
Lo sguardo del futuro è così quello che guarda ai ragazzi. A loro si è rivolto ancora Aldo Luperini: «I meccanismi del bullismo a scuola sono gli stessi che si trovano sui luoghi di lavoro e poi, amplificati, gli stessi che si ritrovano nelle guerre e nelle stragi. State molto attenti a come vi comportate voi, quando ci trovate di fronte alla prevaricazione: rifiutate il meccanismo, ribellatevi».
Ai giovani delle scuole Meina ha dedicato anche lo spettacolo “16 anime” della compagnia LaRibalta ArtGroup, che andrà in scena nel prossimo fine settimana anche a Novara e Trecate. I giovani delle scuole e del Consiglio Comunale dei Ragazzi hanno parlato con Giovanni Bloisi, il “ciclista della memoria” che ha visitato molti dei campi di concentramento, ma anche un luogo di speranza come Sciesopoli (vedi qui).
La commemorazione della strage di Meina è molto sentita dagli ebrei milanesi, che ricordano anche le molte vittime che si trovavano sul Lago Maggiore quasi per caso, in fuga dalla persecuzione che aveva già toccato altri Paesi: i Fernandez Diaz, i Mosseri, i Modiano, sefarditi fuggiti dall’annientamento della comunità di Salonicco, i Serman Müller fuggiti per tempo dall’Austria, i Rakosi partiti da Budapest. O ancora la sfortunata Lotte Froelich, tedesca d’origine, moglie di un uomo di Gallarate, capitata per caso all’albergo della famiglia Behar nel giorno dell’irruzione delle SS.
Prima che risuonasse lo shofar sulla piazza – ottenuta là dove era previsto si costruisse un banale condominio – è stato recitato il salmo 120 e il salmo 121 e la preghiera per le vittime: “Accorda il giusto riposo alle anime dei nostri fratelli sorelle uomini donne bambini lattanti, tutti distinti e integralmente puri, uccisi e bruciati, ad Auschwitz, Treblinka, Sobibor, a Meina, sul Lago Maggiore”.
La commemorazione è stata promossa quest’anno, per la prima volta insieme, anche dal consolato tedesco e da quello della Turchia, la nazione da dove venivano i proprietari dell’Hotel Meina e alcune delle vittime.
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