Castelletto Ticino ricorda i cinque partigiani fucilati al porto
Lunedì primo ottobre si terrà la tradizionale manifestazione in ricordo delle vittime del fascismo e delle guerre mondiali
Per i cittadini di Castelletto Ticino i primi giorni per ricordare il dolore del passato e celebrare la pace. Lunedì primo novembre l’amministrazione del paese celebrerà come da tradizione il ricordo dei cinque partigiani fucilati dai fascisti al porto di Castelletto nel 1944.
Il programma
Lunedì primo novembre la manifestazione comincerà alle 9.45 in piazza Fratelli Cervi, dove ci sarà l’alzabandiera e la benedizione delle corone. Alle 10 partirà il corteo verso il Parco delle Rimembranze per la deposizione della corona al monumento dei caduti. Il corteo proseguirà verso piazzale 5 Martiri per la deposizione di una corona al monumento dei partigiani fucilati. Alle 10.40 interverrà il sindaco, dopodiché si terrà la commemorazione ufficiale con orazione a cura di Alessandro Orsi, presidente Anpi di Borgosesia. La manifestazione sarà accompagnata dall’esibizione del corpo musicale A. Broggio di Castelletto Sopra Ticino.
In caso di maltempo la commemorazione ufficiale si sposterà alla sala A. Caletti, all’ingresso del parco comunale.
La storia
Sin dall’inizio della Resistenza, Castelletto Ticino fu centro di attività clandestina e le squadre d’azione patriottiche furono molto attive, tanto che la località veniva tenuta sotto stretto controllo dai nazifascisti. L’1 novembre 1944 cinque partigiani venivano fucilati per rappresaglia nel porto di Castelletto Ticino.
Ma cosa era successo? La sera del 29 ottobre 1944, a pochi chilometri da Castelletto, i partigiani catturano il sottotenente di vascello Leonardi, ufficiale della “X Mas”. In seguito alla sua fucilazione, i militi della X Mas irrompono in paese prelevando 16 ostaggi che vengono portati nella sede del GNR di Sesto Calende.
Il capitano Ungarelli chiede al comandante dell’ “Alcazar” di Arona, De Giacomo, di portare a termine l’inchiesta volta ad individuare i colpevoli dell’uccisione di Leonardi e la cessione di “un certo numero di ostaggi da passare per le armi sul luogo del delitto”. Il permesso viene accordato e Ungarelli, tramite manifesto, informa i castellettesi che sarà eseguita “la più spietata, la più feroce delle vendette”.
La X Mas torna in paese l’1 novembre. Il capitano Ungarelli vuole un pubblico numeroso per la sua azione di vendetta e obbliga la popolazione a convergere nel piazzale del piccolo porto, fa fermare i treni in transito e costringe i passeggeri a dirigersi all’imbarcadero. I 16 ostaggi provenienti da Sesto Calende vengono allineati nella piazzetta e da un motoscafo si fanno scendere sei partigiani provenienti dall’Alcazar di Arona, catturati in un rastrellamento nel basso Vergante: hanno i volti tumefatti, i vestiti laceri, le mani legate dietro la schiena, ma avanzano con capo eretto e passo sicuro.
Allineati davanti al plotone d’esecuzione, sotto gli occhi dell’intero paese che cerca di rompere il cordone dei militari, intonano la canzone “Che importa se ci chiaman banditi, il popolo conosce i suoi figli”. Sempre con le mani legate dietro la schiena, volta al plotone, sono fatti sedere. Ungarelli legge la sentenza di morte: ”Io, capitano Ungarelli della X Mas condanno a morte mediante fucilazione alla schiena questi sei banditi, volgari delinquenti comuni”.
A quel punto il pubblico, agitato, urla parole di disprezzo contro il capitano e lo obbliga a rivedere la sua sentenza: Ungarelli è costretto a graziare il più giovane dei sei partigiani, Alfonso Boca, con le parole “faccio grazia al minore di essi che verrà inviato ai lavori obbligatori in Germania”. Una volta slegato, il giovane corre ad abbracciare i suoi compagni, poi i militari lo trascinano fra gli ostaggi. La tensione cresce: ora la popolazione canta con i condannati a morte, una popolana riesce a raggiungere i partigiani e li incita a continuare nel loro canto. Ripresa dai militi, è caricata su di un furgone. Arriva infine l’ordine di “Fuoco!” ed una serie di scariche di mitra si abbatte sui cinque che gridano “Viva l’Italia, viva i partigiani”: sono Luigi Barbieri, 44 anni, di Vigevano, Teresio Clari, 30 anni, di Torino, Ernesto Colombo, 18 anni, di Milano, Sergio Gamarra, 19 anni, di Invorio, Luciano Lagno, 23 anni, di Bogogno. L’esecuzione avviene a raffiche di mitra isolate, in modo che le vittime potessero assistere alla fine di chi li precedeva. L’Ungarelli finisce a colpi d’arma da fuoco sul viso Barbieri, che aveva chiesto di essere colpito al cuore per essere riconoscibile e si allontana urlando ai castellettesi “questo è il primo tributo per l’assassinio del nostro camerata”.
Dopo l’esecuzione, il capitano Ungarelli stese un rapporto di servizio sull’accaduto: “In attesa di poter portare a termine l’inchiesta che mi avrebbe fatto individuare gli autori del delitto ritenevo opportuno dare un primo esempio di intransigente fermezza e richiedevo al comandante De Giacomo la cessione di un certo numero di ostaggi che volevo far passare per le armi sul luogo stesso del delitto il mattino successivo. Il comandante De Giacomo aderiva senz’altro alla proposta”, dal quale appare chiaramente la gratuità della rappresaglia. In memoria del sacrificio dei cinque partigiani è stato eretto un monumento ideato da Enrico Barberi, scultore di Castelletto Ticino, che era presente al fatto e che ha preparato il bozzetto. L’opera è del professor Otello Monteguti di Milano.
(Resoconto a cura dell’istituto storico della resistenza e della società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola Piero Fornara)
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