I walser e il grande tiglio di Macugnaga
Cesarina Briante racconta la storia del popolo germanico che colonizzò le terre alte delle Alpi. E di un simbolo comunitario ancora oggi molto amato
Il flusso migratorio che interessò l’Europa nel medioevo spinse la gente che occupava la valle del Reno a muoversi verso le terre oggi definite Vallese. Un popolo di migranti i Walser che abbandonate le terre del nord iniziarono un lungo viaggio. Era il 1200, la vita di montagna non era certo facile ma il loro obiettivo era vivere liberi e indipendenti, lontano dai briganti e dalle leggi rigide dei sistemi feudali.
Le loro comunità trovarono rifugio tra le montagne e le valli poste ad anello attorno al Monte Rosa, in quei luoghi che gli uomini avevano dimenticato per i troppi pericoli e l’asprezza di vita che i monti imponevano. Luoghi densi di leggende misteriose, luoghi in cui si rifugiavano spiriti e creature del piccolo popolo, nei cui dirupi trovavano rifugio demoni e dannati. Ma i Walser non si arresero davanti né alla paura né di fronte all’ostilità della montagna e qui costruirono le loro case di legno e di pietra, fatte a incastro e riscaldate dalle stube e tra i monti conservarono un’insieme di tradizioni e credenze antiche che comprendevano costumi e parlata.
Una lingua dialettale che si mantenne a causa dell’isolamento dato dalla vita di montagna. Una parlata antica che oggi fa parte della cultura e che viene tramandata anche attraverso percorsi scolastici e corsi in molte zone d’Italia interessate dalla tradizione Walser.
Il grande tiglio di Staffa di Macugnaga
Alla frazione Staffa, davanti alla chiesa vecchia e al cimitero si erge il grande tiglio, oggi considerato monumento naturale. I popoli germanici riconoscevano la sacralità di alcuni alberi tra cui proprio il tiglio e la leggenda racconta che nel 1200 quella che allora era solo una piantina, un getto, abbia accompagnato il viaggio della gente che avrebbe poi fondato Macugnaga. I primi coloni stabili di quel territorio.
Un albero sopravvissuto alle intemperie e al tempo, ormai svuotato nel suo tronco e sorretto da rinforzi, che continua a vivere e ripete ogni anno il suo ciclo. Foglie verdi e teneri germogli fanno ancora ombra, in silenzio, al cancello del cimitero ove riposano gli antichi abitanti del luogo e coloro che hanno trovato il riposo tra le montagne.
Ogni borgo aveva un tempo un punto d’incontro. A Somma Lombardo era un grande olmo che raccoglieva alla sua ombra gli uomini della Parte Alta della città. A Macugnaga era invece il tiglio che richiamava gli abitanti per le decisioni importanti. Sul ripiano in pietra si stilavano gli accordi e sotto i rami della pianta trovavano l’ultimo saluto le anime pronte per il grande viaggio. Lì i corpi ricevevano la visita finale e l’estremo addio prima della sepoltura.
Il tiglio ha visto centinaia d’anni di storia, ha vissuto e sofferto in silenzio accompagnando la vita della città e sembra voler sopravvivere per continuare il suo compito e ricordare agli uomini la sacralità dell’esistenza e la forza della vita e dell’anima.
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