Flavio Maglio, il “figlio” della Resistenza che fa risuonare l’eco della memoria
I testimoni diretti stanno scomparendo, la memoria va tenuta in vita, le voci non vanno fatte tacere. Flavio Maglio, dopo una vita nelle associazioni di Verbania e dintorni, ha scoperto la musica resistente
Flavio alla finestra, attende la sua intervista e guarda su, sguardo sul cielo e le montagne, in una sera di settembre. Ottant’anni da quella stagione che ha fatto la storia di quei luoghi. Stelle e cime che si toccano, sembrano parlarsi, scendono fin lì, a due passi dal lago, dentro i pensieri di un uomo che non ha mai dubitato cosa fosse giusto fare. «La mia famiglia ha vissuto dentro la Resistenza, io vengo da Fondotoce, mia mamma e mia nonna videro passare il corteo dei 42 martiri che andavano a morire. Mio padre viveva al Cassinone, bombardato nel ‘44».
Cosa è giusto fare, vuol dire ascoltare le voci che non tacciono e che richiamano al dovere della responsabilità: con uno sguardo velato di stanchezza, Flavio Maglio, non fa più caso ai suoi settant’anni. Quelle voci che sono entrate nei pensieri, quando ha incontrato chi c’era. «Arialdo Catenazzi, per esempio, oggi ha quasi cento anni, ma le sue parole, le sue memorie sono quelle del ragazzo che era là, a combattere per un’idea e per un futuro migliore».
I testimoni diretti stanno scomparendo, la memoria va tenuta in vita, le voci non vanno fatte tacere. Flavio Maglio, dopo una vita nelle associazioni di Verbania e dintorni, ha scoperto la musica resistente. Per non fare tacere la memoria, anzi per diffonderla nel vento, attraverso le note e il canto: «Il colpo di fulmine l’ho avuto quando anni fa mi è capitato di ascoltare un gruppo famoso in questo ambito, gli Yoyo Mundi. Da quella volta, ho cominciato a pensare a come tramandare i canti e le storie della Resistenza della mia terra, Verbania e l’Ossola. La musica fa parte della mia vita da sempre, come la resistenza del resto». Flavio Maglio, il bambino degli anni Cinquanta, andava con lo zio e il padre nelle piccole balere di provincia: «Mi mettevano a cantare sulla sedia, loro suonavano. Per un periodo, quando ero piccolo, abitavamo in sei in una casa popolare e in questa casa piccolissima avevamo pure un pianoforte, cosa bizzarra in quegli spazi ristrettissimi».
Dagli anni Sessanta in poi, ha sempre suonato in vari gruppi, fino all’impegno come direttore del coro Volante Cucciolo e come anima della Band del Piancavallone, due nomi che inquadrano molto bene il tipo di impegno: «Sono due simboli della Resistenza di questo territorio. La Volante Cucciolo è legata a una fine tragica. Diffondere le loro storie è il vero impegno. I canti di allora non sono molti, anche perché in quei due anni di lotta, non c’era molto tempo per comporre musica. Si cantava per aggregare, esorcizzare la paura, vincere la fatica, ritrovare forza e coraggio, per scaldare le notti. E spesso, si adattavano testi resistenti a musiche popolari che già si conoscevano. Oltre a quei canti, abbiamo cominciato a raccontare e ricordare storie, imprese, tragedie e persone mettendo in musica le pagine della Resistenza qui da noi. In particolare, con la Band del Piancavallone, che ha musicisti di alto livello, professionisti che mi danno una mano. Io, invece, ho sempre fatto tutto questo a livello amatoriale».
“Tra gli anelli di fumo, nelle pianure di Buchenwald”
La memoria da mantenere viva, la responsabilità che non va tradita. Per quelli che non ci sono più e per quelli che verranno dopo. Flavio Maglio mette la memoria dentro la musica, quando può la veste di poesia, attingendo dagli scritti della moglie, Morena Colombo. Da una poesia di Morena, è nata Ljuba, una canzone tra le più toccanti del repertorio della Band del Piancavallone: «Ljuba è una ragazzina che portava mele di nascosto ai deportati del campo di concentramento dove venne imprigionato il padre di mia moglie. Lei ne ha fatto una poesia, io una canzone». Morena, la moglie di Flavio, è un’altra figlia della Resistenza: «Suo zio fu uno dei martiri di Pogallo, suo padre finì in un lager in Germania…». E così Flavio Maglio, giovane di settant’anni, che negli anni Sessanta sognava di diventare un cantante professionista e per anni ha sognato di diventare un grande pallavolista, si è poi trovato a raccontare, custodire, mettere in musica i sogni di ragazzi che volevano un’Italia diversa. “Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani”.
Montagne che parlano di Augusta, Beniamino e tanti altri giovani eroi
Flavio guarda tutti i giorni le montagne custodi della memoria, dal Monte Zeda alla Valgrande, e quelle voci non si può davvero ignorarle. «La sfida è appena cominciata, purtroppo, perché la memoria va messa nelle mani dei nostri giovani e non è facile, non è facile per niente far loro capire». Giovani di oggi, giovani di allora, come Augusta Pavesi, volto dolcissimo appeso alla parte della sede dell’Anpi di Verbania. La piccola, dolce Augusta, uccisa a 17 anni. O come il bambino partigiano di Beniamino Cobianchi, fucilato a 14 anni a Cavandone. O come i ragazzi della Volante Cucciolo, sette partigiani massacrati a Trarego: il più giovane aveva 19 anni, il più vecchio 25. «Ai nostri ragazzi, bisogna per forza parlare di loro, di questi loro coetanei. L’antifascismo è un valore universale, non può essere ideologia». Parlare ai giovani è la grande sfida di Flavio: «Hanno però altri linguaggi, anche musicali, molto diversi dal mio. Però bisogna provarci. Le nuove generazioni purtroppo ce l’hanno con noi. E li capisco: noi, la generazione nata subito dopo la guerra, si sta prendendo tutto. A loro resta poco, a loro resta la precarietà nel lavoro, un pianeta inquinato, uno stato sociale in crisi. Però dobbiamo comunicare, parlarci, provare a capirci».
Dal coro Volante Cucciolo alla Band del Piancavallone, musica che resiste
Il coro Volante Cucciolo continua a cantare, la musica non smette di raccontare storie, imprese e personaggi leggendari, come per esempio Nino Chiovini, il cantore della Resistenza sui monti del Verbano, o il comandante Arca, ovvero Armando Calzavara, eroi da non dimenticare. «Più difficili mandare avanti l’attività della Band del Piancavallone. Il coro vive di volontariato puro, la band non può. E come tutte le band, oggi anche la nostra soffre poiché in Italia suonare dal vivo è diventato molto difficile, a meno che non lo si faccia gratis o quasi». La fatica è un dato di fatto, ma la promessa fatta agli ultimi partigiani, Arialdo Catenazzi in testa, va mantenuta. «Oggi i ragazzi non è che non siano sensibili all’argomento, ma scelgono di impegnarsi in altre associazioni, qui a Verbania. Però prima o poi, l’Anpi dovrà cercare di aggregare anche loro, se vogliamo andare avanti». Il pessimismo non serve, anzi, è un ostacolo in più. Parlare, dialogare con i giovani, si può, si deve e spesso ci si riesce: «Una grande idea, per esempio, fu quella del concorso musicale che abbiamo fatto alcuni anni fa. Era il 2016. Si voleva fare una rassegna rivolta soprattutto a loro, per stimolare la fantasia e la produzione musicale. Ebbene, abbiamo ricevuto oltre cinquanta proposte. Canzoni. Mancavano fino ad allora canzoni dedicate, per esempio, ai martiri di Fondotoce. Da quel concorso ne sono nate dodici. Sì, questa idea della rassegna musicale funziona e dobbiamo rifarla». Flavio Maglio, giovane degli anni Sessanta, figlio della Resistenza, pallavolista romantico, sindacalista, antifascista, cantautore. Padre. «Ho due figli, uno di loro è musicista. Ma si esprime in un linguaggio molto diverso dal mio, ama la musica elettronica, si sente a suo agio con un genere musicale che io fatico a comprendere». Però, quando può, quel figlio una mano alla musica resistente e alla band del Piancavallone la dà. In fondo, l’idea non tramonta, anzi vive. Come i valori, che non muoiono. Cambiano i linguaggi, quelli sì, ma bisogna farsene una ragione. Senza paura. Il viso angelico di Augusta Pavesi, lo sguardo di bambina resta vivo su quella parete della sede dell’Anpi, in una notte Verbania di ottant’anni dopo quella stagione incredibile. Sguardo vivo di una ragazza partigiana, anche se le luci si spengono e la stanchezza legittima di un uomo, Flavio Maglio, richiede riposo. Solo fino all’alba, fino a quando il sole illuminerà le montagne e la loro memoria, quanto basta per ispirare un canto da diffondere nell’aria.
“Tu fiore aperto al domani,
scivolavi silenziosa
a ridosso del lago…”
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