A Fondotoce il ricordo del sacrificio della Resistenza è “una palestra di democrazia”
A ottant'anni dal rastrellamento della Valgrande la memoria dei giovani che sacrificarono la loro vita. Una storia da ricordare fuori dalla "sacralizzazione"
A Fondotoce di Verbania si rinnova la memoria della Resistenza. A ottant’anni dal rastrellamento del giugno 1944, con la consapevolezza di essere oggi in una «zona crepuscolare fra storia e memoria», in cui sempre meno sono i testimoni diretti di quei fatti.
Alcuni di loro ci sono ancora, come Arialdo Catenazzi “Gatto”, che era un ragazzino nel 1943. Tanti, però, sono testimoni indiretti, che hanno ascoltato i racconti di quel rastrellamento. Tanti arrivati in gruppo, delle sezioni Anpi e del “Raggruppamento Di Dio”, dall’Ossola, dalle sponde del Verbano, dall’Alto Milanese da cui erano partiti tanti ragazzi saliti in montagna a combattere. A Fondotoce c’era ad esempio il neosindaco di Samarate, paesino vicino a Malpensa che ebbe otto Caduti nel rastrellamento (l’amministrazione è sempre stata presente negli anni).
È stato anche il debutto del nuovo sindaco di Verbania, Giandomenico Albertella: «L’amministrazione sarà presente per costruire, attraverso la memoria, un futuro per i nostri giovani» ha ricordato a margine della cerimonia di fronte al sacrario della Casa della Resistenza, realizzato là dove a giugno 1944 furono fucilati quarantadue patrioti (quarantuno uomini e una donna, Cleonice Tomassetti).
Il sacrificio dei partigiani è stato evocato in modo forte dalla “marcia dei quarantatré”, che da qualche anno dà corpo alla scena di quei condannati che furono fatti sfilare da Verbania al canale dove furono trucidati (uno si salvò, tornò a combattere e scelse come nome di battaglia “Quarantatré”).
La «zona crepuscolare tra storia e memoria», definizione dello storico Eric Hobwbawm, è stata citata da Andrea Pozzetta, lo storico della Casa della Resistenza cui era affidata la prolusione ufficiale di quest’anno. «“Commemorare” significa “ricordare insieme”, “ricordare qualcosa che ci accomuna”, significa “fare memoria insieme”» ha detto nel suo intervento Pozzetta. «E la storia dei martiri di Fondotoce è qualcosa che ci lega, che appartiene a tutti noi: anche se non l’abbiamo vissuta direttamente, siamo tutti condizionati da quegli eventi tragici, perché le loro premesse e le loro conseguenze sono state premesse e conseguenze di impegno civile e collettivo i cui effetti durano tuttora».
«Noi continueremo a ricordare i martiri di Fondotoce perché quello che di loro ci rimane è soprattutto l’esito finale della loro lotta e del loro sacrificio: la democrazia. Per questo, credo, il luogo in cui siamo oggi è stato e deve continuare ad essere una palestra di democrazia. Una democrazia intesa in senso attivo, come strumento di emancipazione continua e permanente, da affermare e non da dare per scontata».
Da storico, Pozzetta ha lanciato un messaggio anche sul tema dello studio e del fare correttamente memoria dei fatti, fuori dalla retorica: «La storia può evitare i rischi del negazionismo, le banalizzazioni del fascismo, o le sue minimizzazioni, ma può evitare anche il rischio della “sacralizzazione”, cioè di una memoria che mette da parte tutto ciò che può essere problematico, in un racconto esclusivamente epico che si espone però agli attacchi di chi vuole negare la centralità dell’antifascismo e della Resistenza nella nostra vita civile. Solo la storia ci permette di chiarire che la cultura della violenza come valore in sé, le pratiche di deumanizzazione e di sopraffazione, di cui la strage di Fondotoce è purtroppo solo un esempio, non sono stati errori di percorso tipici delle battute finali di una guerra, ma sono stati elementi costitutivi del fascismo stesso sin dalla sua nascita».
Articolata, come ogni anno, la presenza di tante realtà diverse, da quelle istituzionali del territorio (con sindaci anche dal Milanese) alle sezioni delle associazioni partigiane, agli scout di Verbania che – nella memoria delle “Aquile randagie”, gli scout milanesi che resistettero al fascismo – hanno portato la corona fino al sacrario.
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