Il peccato originale dei luoghi comuni
In che modo la stampa nazionale tratta i fatti della provincia? Il decano dei giornalisti varesini traccia un bilancio. Gustosi aneddoti sul giornalismo di casa nostra
Il lago di Gavirate, così si chiamava prima che Varese, ascesa a notorietà nazionale, gli soffiasse il nome, sicuramente più di altre aree della nostra zona ha patito le conseguenze, gravi, del boom industriale e abitativo che avrebbe dato primati nazionali alla nostra città e al territorio a partire dalla fine degli Anni 50 del secolo scorso.
Varese fu di conseguenza teatro di splendide battaglie ecologiste, con Salvatore Furia, lui siculo nei panni di grande vedetta lombarda, che scendeva con i suoi giovani dal Campo dei Fiori per difendere aria, acqua e verde cittadini.
Accadde che Giorgio Bocca, inviato d’assalto del “Giorno”, colse una coincidenza, a dir poco terribile, sul fronte dell’inquinamento che accomunava la bella Piacenza attraversata da un Po ridotto maluccio, alla quieta Varese che si affacciava sul lago. Dopo essersi dedicato alla città emiliana, Bocca, arrivato da noi scrisse che mentre Piacenza galleggiava nella cacca, Varese ci si specchiava.
Forzature certamente, ma con un bel fondo di verità.
A Palazzo Estense mai videro e udirono il sindaco Ossola tanto inferocito, partirono lettere di fuoco pure ai giornali che non si erano lasciati sfuggire la preziosa imbeccata.
Fu anche così che migliorò l’attenzione di noi cronisti alla questione ecologica, ma si crearono danni collaterali: agli inviati che venivano a scoprire la realtà della quarta città d’Italia oltre ai dati di successi e di sviluppi incredibili, venivano forniti elenchi di negatività bosine che quasi sempre c’erano, il più delle volte non della dimensione denunciata.
Fu così che Varese per qualche anno si ritrovò incolta, apatica, schiva, priva di strumenti culturali, la città del nulla salvo il lavoro che andava a gonfie vele come lo sport di livello europeo; c’erano inoltre i licei che offrivano alla comunità generazioni interessanti mentre docenti e uomini di cultura facevano crescere l’attenzione alla musica, al teatro, alla storia e indicavano dove e come poter crescere ancora di più, in particolare a Milano.
Le quattromila persone presenti ai grandi concerti al Palasport non furono prese in considerazione come indicatore positivo, anzi sul teatro si sarebbe andati avanti per anni con autentici luoghi comuni.
Certo si sarebbe potuto fare di più e meglio, ma poi a rendere giustizia alla reale vivibilità di Varese ci pensarono Guttuso e Chiara, che da noi non avevano cercato la frenesia di attività che li avrebbero in qualche misura distratti: volevano infatti serenità, discrezione e pochi e fidati riferimenti che rendessero facile l’inevitabile incontro con qualche ripetitiva situazione di vita quotidiana. L’Università, un teatro di fortuna, il recupero di qualche personaggio di spessore, la civiltà della sopportazione davanti a incapacità e bugie della politica, l’apertura ai giovani hanno successivamente ridato fiato a una città diversa e alla quale mancano pochi impulsi per recuperare in altri ambiti posizioni e notorietà di 50 anni or sono.
Amo la mia Varese per quello che è oggi e spero possa essere domani, cerco di difenderla quando la aggrediscono, capisco lo stato d’animo dei luinesi che si sono visti traditi da loro figli famosi con valutazioni affidate al giornale di matrice romana, arrivato in riva al Lago Maggiore a metà febbraio per misurare il rapporto di alcuni professionisti della risata con il luogo natio (nella foto, uno degli scatti postati su facebook da un lettore in risposta al servizio di Repubblica).
Boldi e compagnia evidentemente a Luino ci vengono fuori stagione e a dormire. E non hanno nemmeno un passato e una cultura che li accosti a celebri personaggi di Fellini, protagonisti di vicende autunnali o invernali nei loro estivi ed esplosivi luoghi di nascita.
Luino si meritava di più delle banalità rastrellate per un’inchiesta che probabilmente avrebbe dato lo stesso esito in migliaia di altri luoghi di vacanza quando manca più di un mese all’inizio della primavera.
Lasciamo stare Fo con spessore artistico e comicità di altro livello e che non ricordo impegnato a snobbare luoghi che gli sono stati familiari, ma sarebbe stato interessante avere il parere di altri comici, come Nanni Svampa, laureato, studioso della musica e della storia della canzone di Lombardia con il quartetto dei Gufi – lui, Brivio, Magni, Patruno -. Svampa vive da 70 anni a Portovatravaglia, dove era sfollato allo scoppio della guerra. E un po’ più a Sud, nel Lavenese ecco un altro ospite fisso, imperatore del sorriso e della risata, uomo molto intelligente e amato, Renato Pozzetto. Mai sentito fare il metereologo o raccontare ovvietà sulle stagioni.
Ma uno può non amare il luogo dove è nato, la sua aria buona, il lago i monti, la pace e la serenità.
Siamo ancora uomini liberi, però non è elegante urtare pesantemente la suscettibilità di chi con affetto e simpatia ci ha appena omaggiati pubblicamente come ambasciatori della risata.
Boldi non l’ha pestata questa volta né a Piacenza, né a Varese ma nel suo giardino.
Una persona coerente restituirebbe l’onorificenza.
Pierfausto Vedani
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