Camilleri: “Sono figlio di Piero Chiara”
Lo scrittore siciliano è stato accolto da un'autentica folla. «Volevo ringraziarvi perché qui ho provato una reale emozione. Non capita spesso di sentire un abbraccio caldo e misterioso che mi ha ripagato del lungo viaggio»
«Farò in modo di stare bene, perché io lì ci vado» si era detto quando gli avevano comunicato l’assegnazione del Premio Chiara alla carriera. Nonostante i suoi 84 anni e una trasferta infinita, dalla Sicilia ai confini con la Svizzera, Andrea Camilleri, sabato primo maggio, è entrato puntuale nel Teatro Sociale di Luino. Ad attenderlo c’erano oltre 500 persone, tra cui sindaco, prefetto e presidente della Provincia, e un’atmosfera che non si era mai respirata nell’attribuzione di questo premio.
La solennità e l’ufficialità hanno lasciato subito posto all’affetto e all’umanità, come se a Luino Camilleri ci fosse sempre stato.
Il Lago Maggiore non è il mare di Porto Empedocle, ma non importa. Lui si sente «figlio di Piero Chiara» – tra l’altro anch’egli siciliano d’origine – e di quel modo di raccontare imparato dal popolo e dai contadini, come il mezzadro «Minico» che Camilleri da ragazzo pagava per farsi raccontare vecchie storie, quelle tramandate oralmente di padre in figlio, e a cui deve il personaggio di Maruzza Musumeci. «Io amo coloro che raccontano. Un tempo era come vendere cose usate al mercatino. Beh, ce ne fossero oggi di raccontatori come Chiara e Vittorio Sereni».
Le domande degli intervistatori, Diego Novelli e Luca Crovi, hanno riportato lo scrittore alle origini, quando lavorava per la Rai e produceva gli sceneggiati ispirati al commissario Maigret, interpretato dal mitico Gino Cervi, uno che non imparava mai il copione e ci metteva secoli per accendersi la pipa in scena perché doveva leggere i testi sul gobbo (umano).
C’è stato un tempo molto lontano (1947), in cui lo scrittore siciliano è stato anche poeta. Insieme ad altri coetanei allora sconosciuti, come Pasolini e Zanzotto, partecipò al concorso di Lugano indetto da “Libera stampa”, organo del partito socialista ticinese. Non si sa come abbia avuto notizia di quel concorso, ma lui si accontentò di rimanere per sempre un giovane poeta perché in Italia «dai 40 ai 60 anni se scrivi poesie sei un coglione e solo dai 60 agli 80 si diventa maestri. Io ci sono arrivato comunque».
Camilleri sostiene che prima bisogna vivere e poi filosofare e che per scrivere lui ha bisogno della vita, dei sapori e degli odori, del caos, dei nipotini che giocano sotto la sua scrivania, perché «Le torri d’avorio, gli uccellini e i fiorellini» lo spingono al suicidio.
Il papà del commissario Salvo Montalbano ha nella voce tutte le sigarette del mondo e nelle parole tutta la saggezza di chi sa vivere ogni momento cogliendone quella parte di verità che in genere sfugge ai più. «Volevo ringraziarvi perché qui ho provato una reale emozione. Non capita spesso di sentire un abbraccio caldo e misterioso che mi ha ripagato del lungo viaggio».
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