Quantcast

«Vorrei che i miei libri avessero il profumo del pane»

Luis Sepúlveda si racconta al Teatro Sociale ricevendo il Premio alla carriera dagli Amici di Piero Chiara. Una serata magica con un mito della letteratura sudamericana

Il tavolo su cui scrive Luis Sepúlveda è quello che il suo amico Hans di Amburgo gli ha relegato quando ha dovuto chiudere la sua panetteria, proprio quello dove impastava. Lo scrittore lo ha portato a casa così com’era, sporco di farina con addosso ancora il profumo del pane e la presenza di quel lavoro così duro, perché dice «vorrei che i miei libri avessero il profumo del pane».
È lui stesso a raccontarlo al Teatro Sociale di Luino nel ricevere il Premio alla Carriera nell’ambito del Premio Chiara, nella serata condotta da Laura Balduzzi. E’ una delle tante storie della sua vita che Sepúlveda ripercorre insieme al pubblico che lo accoglie con una ovazione. Ascoltarlo è un piacere e il suo accento spagnolo trasmette quella “alégria” che tanto si ritrova nei suoi libri. Sepúlveda la vita l’ha vissuta intensamente in un paese come il Cile che ha visto la dittatura e la resistenza a Pinochet, in carcere torturato, a stretto contatto con le popolazioni indigene dell’Amazzonia, sui gommoni di Greenpeace in difesa delle balene. Insomma, di storie da raccontare ne ha tante e un pomeriggio non basta. Intervistato da Luca Crovi ricorda quando finì dal preside della scuola per aver scritto una storia “piccante” sulla sua professoressa o quando si nascose nella Biblioteca Nazionale per un intero fine settimana per immergersi nella lettura.
Questo uomo, che trasmette serenità, ha il carisma del grande artista e si capisce che non si limita al superficiale ma va sempre a fondo delle cose e quando un nipote gli chiede perché la lumaca vada così lenta non si accontenta di una risposta veloce ma riflette e ci scrive un libro (insieme a Carlo Petrini di Slow Food) che diventa l’elogio della lentezza e del tempo. «Credo fortemente nel potere dei sogni. Noi esseri umani abbiamo la possibilità di sognare e crearci una vita migliore. Vorrei contagiare la maggior parte delle persone con il sogno» confessa. Le fotografie che scorrono raccontano l’amicizia con Vittorio Gassman, l’incontro con Andrea Camilleri, la famiglia e le passioni della sua vita.
Il libro che gli ha cambiato la vita è Cent’anni di solitudine e ricorda con affetto «l’amico Gabriel García Máquez, un uomo molto timido e molto generoso».
Ricorda che ha cominciato a leggere grazie a una ragazza «Gloria, bellissima di 13 anni. Mi aveva invitato alla sua festa e non sapevo cosa regalarle. Decisi che gli avrei donato il mio tesoro più grande, una fotografia della mia squadra di calcio preferita firmata da tutti i giocatori. Lei non apprezzò e mi rispose che il calcio non gli interessava, ma amava la poesia. Da allora cominciai a leggere poesie e a giocare meno a calcio. Nella vita ho un dubbio e una certezza. Il dubbio è che non so se la letteratura ci ha guadagnato con i miei libri, ma la certezza è che il calcio cileno ha perso un grande campione».

Pubblicato il 10 Maggio 2014
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore