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La Grande Guerra vista dall’altra parte della trincea

Il ciclo di incontri dedicato al centenario della Grande Guerra e organizzato da Mario Manzin e Annalina Molteni si è chiuso con Folkmar Stoecker, già console generale tedesco a Milano e ambasciatore a Singapore

Centenario Grande Guerra

Era molta attesa la conferenza di Folkmar Stoecker, già console generale tedesco a Milano e ambasciatore  a Singapore, che doveva concludere il ciclo splendidamente organizzato da Mario Manzin con la collaborazione di Annalina Molteni, in particolare perché le sue parole potevano offrire, nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della Prima Guerra Mondiale, una visione “dell’altra parte” consentendo così di avere un quadro più completo, almeno per quanto concerne il pensiero di un popolo, oltre la storiografia consolidata e mitizzata.

Tanta aspettativa nel numeroso pubblico che ha affollato Sala Paolo a Brezzo di Bedero non è andata delusa: Stoecker, dopo la presentazione accurata di Manzin, in un italiano corretto e fluente, malgrado la sua affermazione di non sentirsene padrone, ha iniziato ricordando che in Germania le celebrazioni erano iniziate un anno prima – nel 2014 – essendo il suo Paese entrato in guerra nel 1914, affermando che il senso fondamentale emerso dai confronti con gli uomini d’oggi è stata la presa di coscienza delle grandi responsabilità che il popolo tedesco ha avuto non solo per questo conflitto, ma soprattutto per il successivo: la Seconda Guerra Mondiale.

Il concetto che si sia trattato di una guerra civile europea risulta non solo stupefacente, ma rivelatore, la sconfitta alfine fu una sorpresa, poiché il territorio tedesco non venne in pratica toccato dagli eventi bellici, come invece accadde per la Francia e l’Italia e, in misura minore, per gli altri Paesi implicati nel conflitto. Per cui la convinzione che la Germania non sia stata battuta, bensì tradita dalle forze interne di opposizione, specialmente quelle di sinistra contrarie all’intervento.

Il Trattato di Versailles, che concluse le ostilità, fu visto come un cappio applicato al collo del popolo tedesco; durante la Repubblica di Weimar montò un risentimento profondo alimentato dal senso d’ingiustizia, che essendo percepito come terribilmente iniquo, creò le premesse per la scalata e la presa del potere da parte dei nazisti.

Con questo, ha proseguito Stoecker non si vuole cercare ad ogni costo un elemento giustificativo, bensì tentare di dare una dimensione più certa alla verità storica oggettiva – pur negli ovvii limiti del termine – non legata alle opinioni dei politici che non possono e non devono interpretare la storia. E’ impossibile dimenticare il passato, seppure possa sembrare opportuno renderlo più lieve dopo un’esperienza altamente drammatica. Questo percorso si è rivelato impraticabile: i giovani si sono ribellati contro la generazione precedente per la sua reticenza; se non se ne parla non si riesce a perdonare, più si nega il passato, più questo ritorna.

L’estremo interesse suscitato dalle espressioni di Folkmar ha innescato un dibattito molto intenso che ha svariato dalla Shoah alla filosofia del senso di colpa insito nelle genti germaniche, alla necessità di operare verso la riconciliazione, quale via da percorrere per il superamento degli odi.

Un breve intervento di Andrea Bossi, che invitava a terminare la serata presso la locale Associazione degli Alpini, citando anche l’intento attuale di costituire fra gli eserciti italiano e tedesco, con i militari della Tridentina e l’analoga Bavarese, una forza che permetta eventuali operazioni, e una altrettanto breve esibizione pianistica del maestro Berti hanno concluso una serata nella quale “gli assenti non hanno avuto torto”, hanno semplicemente perso una grande occasione.

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Pubblicato il 13 Luglio 2015
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