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Le tigri di Ligabue ai tempi di Snapchat

Il giovane artista Carlo Maria Baranzini sta realizzando "Tiger" un lungometraggio dedicato al pittore naif. Sarà un film innovativo e contemporaneo

Antonio Ligabue

L’idea di un lungometraggio girato in soggettiva, ossia come se la telecamera corrispondesse agli occhi dello spettatore, può sembrare azzardata ed è sicuramente coraggiosa ma è risaputo che sperimentare è una delle attività preferite dagli artisti. E seppur giovane, Carlo Maria Baranzini, un artista lo è.

Dopo i riconoscimenti ottenuti per il suo cortometraggio “Tartare” e il viaggio a Innsbruck, dove alcune sue opere sono state esposte alla mostra austriaca dedicata all’arte contemporanea, è tornato al lavoro per realizzare, “Tiger“, un film indipendente liberamente ispirato alla vita e alle opere del pittore Antonio Ligabue. Di filmati e documentari che raccontano la storia di questo artista visionario in realtà ne esistono già, tra cui anche uno sceneggiato realizzato alcuni anni fa dalla Rai, ma quello che vedremo a riprese concluse sarà qualcosa di nuovo e diverso.

«Il mio obiettivo – spiega Baranzini – è quello di raccontare un artista potente e autentico, ancora troppo poco conosciuto e sicuramente da riscoprire. Ma vorrei raccontarlo in chiave contemporanea e con gli strumenti che oggi la tecnologia ci offre, utilizzando anche i social network dei più giovani come Snapchat e Instagram».
Da qui anche l’idea di girare in soggettiva con una telecamera GoPro Hero 4. «Penso che sia la prima esperienza di questo tipo in Italia – prosegue Baranzini -. E credo che sfruttare la tecnologia sia la chiave giusta per riuscire a parlare di arte con un linguaggio nuovo e innovativo, in grado di raggiungere anche le nuove generazioni».

Anche la scelta di ispirarsi alla vita del pittore naif celebre per i suoi colori accesi e per le belve dalle fauci spalancate delle sue tele, non è casuale. «La figura di Ligabue mi ha colpito tantissimo – conclude il giovane artista – in particolare trovo affascinante il suo modo di sbattere sulla tela il malessere e l’inquietudine che provava dentro di sè. Prima ancora di dipingere per un pubblico, dipingeva per esprimere quello che aveva dentro. Trovo molto interessante questa concezione istintiva dell’arte che può essere intesa anche come sollievo e cura».

Maria Carla Cebrelli
mariacarla.cebrelli@varesenews.it
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Pubblicato il 17 Maggio 2016
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