L’incontro
di Gianluca Fiore
Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci.
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Fuori, acqua che Dio la manda. Non mi decido ad aprire il portone di casa, la pioggia batte incessante ma devo uscire con i cani. Mi guardano interdetti, come per dire ma davvero dobbiamo andare là fuori? È mezzanotte passata, mi dico dai, solo un giretto rapido.
La tormenta mi assale. Vento e pioggia si prendono gioco dell’ombrello, foglie impazzite arrivano da ogni dove. Scendiamo lungo il viale della villa, il solito percorso. I cani sentono odore di selvatico, come tutte le notti abbaiano al buio per tracciare i confini del loro territorio.
Arrivati alla curva, si calmano e fanno quello che devono fare. Riconfortati, e zuppi, si fermano all’improvviso e rizzano il pelo. Poco distante una figura umana immobile ci fissa, senza parlare. E’ un uomo vestito di nero, sembra uscito da un racconto del primo Novecento. Cappotto, bombetta, ombrello chiuso nonostante la pioggia. Mi dovrei preoccupare, essere qui significa aver oltrepassato un cancello di tre metri. Ma sono più incuriosito che altro. I cani tirano verso di lui, ma non abbaiano.
Mi scusi ma lei chi è? E mentre lo guardo mi rendo conto della sua consistenza. Somiglia a quella di una medusa, è di un nero traslucido, trasparente. Di cosa è fatto? Veramente sono io che le dovrei chiedere chi è, sta calpestando il suolo della mia proprietà – mi fa, senza tanti giri di parole. Ma i gentiluomini non devono mai scordare le buone maniere, mi presento. Sono il Conte Morosini, latifondista. E si leva la bombetta, che porta con sè la testa, in segno di saluto. Resto impietrito davanti a quest’immagine di un San Giovanni decollato con bombetta e testa al seguito e sento la sua voce che mi dice e lei, di grazia, è il signor…?
Io balbetto il mio nome, mentre lui si sistema la testa sul collo. I cani, cosa rara, gli scondinzolano. Anche io ne avevo tre quando ero giovane. Sono Jack Russell, vero? Ottimi cani da tana. Eh, quanti ricordi… quando ancora Villa Margherita era la riserva di caccia più grande della zona! Fa per accarezzare uno dei cani, ma la mano si stacca dal braccio, e cade a terra. Mi viene istintivo raccoglierla e restituirgliela. E’ gelida. Che fa, mi dà una mano? Fa lui, e ride di gusto alla sua battuta. La prende, e la riattacca al resto del braccio.
Ecco, dottore, è tutto. Poi non mi ricordo altro, mi sono svegliato qui in ospedale con tutti voi attorno. Il primario finisce di misurarmi la pressione e mi dice forse ha solo bisogno di un pò di riposo, oggi la mandiamo a casa con la sola terapia di rilassarsi e dormire. Per me sta benissimo. Esce dalla stanza, e chiude la porta. Una bombetta e una palandrana nera mi guardano dall’attaccapanni. E una risata arriva, non so da dove.
Racconto di Gianluca Fiore, immagine di Benedetta Fiore
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