Il faro
di Elda Caspani
Il racconto della domenica è a cura della scuola di scrittura creativa Edizioni del Cavedio coordinata da Fiorenzo Croci.
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“Peggio di così non poteva andare” disse il capobarca sistemandosi sullo scoglio per riprendere fiato, aveva perso tutto: la barca e la merce. Anni di fatiche per crearsi un piccolo benessere, era sparito in quella strana notte, gli era rimasta la vita, ma in quel momento non sapeva se esserne contento o meno. Dopo essersi accostati alla motonave, trasbordato il carico e pagato la merce, un’operazione facilitata dal mare calmo, avevano ripreso la via del ritorno. Erano a poche miglia dalla costa, il faro ben visibile, erano in tre, tutti esperti di quel tratto di costa insidiosa, ma era successo qualcosa che aveva sconvolto i loro piani.
Erano certi che fosse andato tutto bene, poi, all’improvviso, le onde presero ad arricciarsi, i mulinelli a gonfiarsi, la corrente diventò quasi una tromba marina, sollevò la barca nel vortice e la scagliò sopra quelle schegge di rocce conficcate in mare che conoscevano ed evitavano sempre con cura: la barca fu tagliata a metà, il carico scivolò in mare e loro nuotarono nell’acqua gelida per salvarsi la vita.
Il mare non è mai buono, prima o poi te la fa, per quello ora erano lì, su quello sperone di roccia a due miglia dal faro e quattro dalla costa, la stessa roccia che a fine Ottocento era stata scelta per costruirvi il faro, e dopo una mareggiata che aveva affondato la nave e ucciso gli operai addetti alla costruzione, il progetto fu abbandonato e chiamarono quella zona “punta maledetta”. Erano in buone condizioni. Qualche ammaccatura, ma non avevano subito danni. La marea stava scendendo e metteva a nudo le punte delle rocce emergenti, fra quelle videro qualche oggetto sbalzato fuori dalla barca, li recuperarono, potevano servire.
La luna piena li guidava, li raggiunsero e li portarono su quella che era stata la base abbandonata del faro: bottiglie con lacqua, scatole galleggianti sparsi qua e là. Poi si stesero sulla piattaforma immersi nei propri pensieri. Era la terza volta che caricavano merce di contrabbando, una vita da persone oneste fino a quando erano stati tentati e si erano detti “perché no?”, molti lo fanno, facciamolo anche noi. Era andata male. Come tornare a terra? Ondate lunghe si precipitavano sugli scogli. La marea stava salendo e il linguaggio del mare si faceva più possente e fragoroso. Pensarono alle famiglie, agli amici, come giustificare quel naufragio? Non c’era un motivo per trovarsi in mare di notte in quella zona. Tutti avrebbero capito che avevano fatto del contrabbando, la vergogna li travolse.
Il rumore di un elicottero li svegliò, il sole era già alto, sventolarono le magliette, furono visti, gli fecero cenno che sarebbero tornati a prenderli. Giurarono di non parlare del carico, era in fondo al mare, avevano pagato per la loro stupidità, avrebbero detto che erano usciti a pescare, improbabile ma non impossibile.
Erano vivi, ripartivano da zero, la vita continuava.
Racconto di Elda Caspani, fotografia di Stella Crowhurst
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