Nostalgia per la morte di un replicante
Racconto di Yuri Sansilvestro
Maurizius, il replicante, io l’avevo conosciuto una sera al Cavedio, il più fantastico ritrovo di tutte le galassie, lì la gente arrivava da ogni parte e c’era ancora un’umanità che valeva la pena di incontrare, operai, mercenari, professori, agenti di borsa, replicanti, un filo sottile univa quelle vite, e di vite di quel genere ne rimanevano poche, i tempi erano degenerati, e la Belles Corporation aveva lavorato sui cervelli e li controllava con la Legge delle Libertà, i replicanti della Jappons spacciavano le loro droghe micidiali anche ai bambini e a nessuno interessava niente di niente, e tutti viaggiavano, si divertivano e si facevano con l’ultimo ritrovato sintetico… E Maurizius era diverso, e non solo perché era un replicante della generazione alfa, lui era così felice della completezza che aveva maturato come personaggio di storie di fantascienza che sul suo viso si era stampato il sorriso di chi ha assolto il proprio dovere e dalla vita non si aspetta più niente, e infatti aveva i giorni contati, noi non lo sapevamo, lui sì, e alla Centrale i suoi costruttori erano stati espliciti, lui era uno dei migliori replicanti usciti dalla Fumetteria, ma tutto aveva una fine, era la legge del mercato… E quella sera c’erano i fratelli Marinos, Betty & Blue Cap, e poi Carmen & Fabian, erano suoi amici, e anche miei, e me lo presentarono e lui si confidò come se ci conoscessimo da sempre, e solo alcuni mesi dopo, quando lui non c’era più, compresi che in quel fiume di parole c’era quella stessa visione della vita che io cercavo di comunicare, perché anch’io inventavo personaggi, e per tanto tempo avevo creduto di generarli dalla mia fantasia, e invece quelli già esistevano, e io non facevo altro che fermarli mentre passavano, ed era questo il significato di quella confessione, di quel sorriso beffardo che Maurizius ebbe per tutta la sera… E mi raccontò le sue avventure, i viaggi, i lavori, mi parlò dei luoghi che aveva visitato, delle città, e di una in modo particolare, di Esperanda, la città magica, la città della fantasia e dell’impossibile, la più bella in assoluto, e sugli schermi giganteschi delle sue strade scorrevano ininterrottamente le storie dei Cavalieri del Futuro, quelli che ti dicevano come sarebbe stato fra due, dieci o vent’anni, e tu non ci credevi fin tanto che un giorno te lo trovavi lì davanti, il futuro, proprio come loro te lo avevano descritto… e poi disse di quell’antica fatica che era il lavoro nei campi, di quelle campagne assolate, e di quando alla sera gli operai tornavano all’azienda e ognuno aveva sempre un pensiero da comunicare, e quel pensiero era maturato nel silenzio, sotto il sole, come se il pensiero fosse un frutto e il cervello un albero, e mi aveva raccontato poi di quella vita meravigliosa che conducevano gli abitanti delle isole di Nervantes dove tutti, dalla mattina alla sera, se ne stavano stravaccati a bere succhi di gullian e intanto parlavano di attività frenetiche, e quando invece si mettevano a lavorare lo facevano per settimane intere senza una sola interruzione e il lavoro era così piacevole che pensavano di essere fermi sotto una palma con una bibita a godersela… E i suoi ricordi, quella sera, mi erano sembrati le allucinazioni di un cocainomane, fantasie, solo fantasie di una mente turbata, e i replicanti erano tutti così, erano un po’ strani, avevano un loro modo di dire le cose… E Maurizius non sapeva leggere, e gli piaceva ascoltare uno dei racconti che stavano appesi alle vetrine del Cavedio, e io gliene lessi uno, il primo che mi capitò, ma siccome le cose non succedono mai per caso scelsi proprio quello di William Acerbi, e io non sapevo neppure che quel giovane scrittore era anche lui un replicante, e invece Maurizius lo riconobbe dopo poche frasi, e rise, rise per la storia di William, ma anche di me, e più di ogni altra cosa rise della mia ingenuità e di tutta quella strada che ancora mi restava da fare.
Racconto di Yuri Sansilvestro , illustrazione di Renato Pegoraro
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