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Notte stellata

di Angela Borghi

La festa di San Giuseppe a Varese

La prima volta pensavo di essermi inventato tutto. Nessuno se n’era accorto. La gente nella sala faceva la stessa cosa degli ultimi dieci anni da che lavoro lì, cioè trascinare i piedi sul parquet e scambiarsi commenti idioti. Io invece guardo sempre i quadri. Quello di Van Gogh è il preferito. La mia vita l’avrei disegnata così: una notte cupa attraversata da bagliori. Per passare il tempo conto tutto. So quante finestre ha la casa del dipinto a fianco, e gli alberi dietro il campo di grano sono sette. Tante volte ho contato le stelle del quadro.
Ce n’era una in più.
Ho avvisato il responsabile della vigilanza, un bastardo che mi odia e mi fa penare la promozione. Ha spalancato gli occhi con un sorrisetto, non si è neppure scomodato per controllare di persona: ha mandato un altro custode, un cretino, che non sa distinguere un acquarello da una foto a colori, sempre che sappia contare. Infatti: – Il quadro è in ordine, capo, nessuno gli ha dipinto sopra.
Come se io avessi detto che qualcuno gli aveva dipinto sopra.
La seconda volta, alle nove e zero tre, mi sono accorto che era comparsa la stella numero nove, più piccola delle altre, con un alone verdastro, vicino al ramo del cipresso.
Hanno cercato di convincermi che il quadro era già così. L’ho avuto sotto gli occhi per anni: fino a quella mattina a fianco dell’albero c’era un pezzo di cielo scuro.
Alla decima stella sono stato in silenzio. Tutti ridacchiano alle mie spalle. Qualcuno mi chiede: – Quante stelle vedi, oggi?
Era sopra le montagne colorate di viola e brillava di una luce fredda, cattiva. Non ho più dormito. Si accendono all’improvviso e le vedo solo io. Ma non voglio essere preso per pazzo, terrò per me il segreto, anche se mi scoppia nella testa.
Questa mattina ne vedo una nuova, in alto a sinistra, enorme, luminosissima. Succederà qualcosa.
Nella sala c’è un vecchio, che spesso viene al museo. Indossa sempre una giacca blu da marinaio, con grossi bottoni che brillano come oro sotto le luci. L’ultima volta erano sei. Oggi i bottoni sono cinque. Un occhio del vecchio è cattivo. Quando vede che fisso la stella mi rivolge uno sguardo d’intesa, ma senza simpatia. Alza le braccia in direzione del quadro, come per impartire un comando.

Il bambino stringe forte la mano del padre mentre costeggiano la recinzione. Sa quello che è accaduto molti anni prima aldilà della rete, gliel’hanno raccontato tante volte. Una vampata di luce partita da un museo si è propagata a tutta la regione annientando ogni creatura vivente. Sempre, in quel punto, pensa alla catastrofe. – Nessuno si è accorto di quello che succedeva, papà? – No. Chi poteva prevedere una cosa simile?

Racconto di Angela Borghi (www.ilcavedio.org)

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Pubblicato il 20 Marzo 2022
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