Un giorno alle corse
di Gianluca Fiore
Non aveva creduto ai suoi occhi. Una vita di stenti non poteva prevedere tali colpi di fortuna. Era successo all’improvviso, solo grazie alla sua abitudine da accattone di guardare sempre a terra in cerca del superfluo, di quello che la gente abbandona perché è troppo. Tardo pomeriggio, e il colore di quella carta arrotolata aveva richiamato la sua attenzione. Qualcosa gli diceva guarda bene, e poi il cuore a mille, quando l’aveva aperta. Cinquanta euro. Il suo primo impulso era stato quello di buttarsi a bere e mangiare come mai aveva fatto. Ma aveva alzato lo sguardo. Era davanti all’Ippodromo. E la sua testa aveva fatto un collegamento, magari ingiustificato. Tanto valeva la pena di provare. Al massimo sarebbe rimasto povero in canna, come sempre. Una scommessa. Tutto su un cavallo, come nei film.
Venere, vincente. Neanche piazzato, solo vincente. Il tipo alla ricevitoria dell’ippodromo se lo guarda come un marziano. Ma è ‘na schiappa… Appunto, dice lui. Lo pagate bene. Boh, fa ‘n po’ come te pare…
La campanella chiude le puntate, siede sulle gradinate, in un ambiente che non gli appartiene ma che si gode. Chissà quando potrà capitargli ancora. Il sudore sul collo dei cavalli lo eccita, Venere rimane nel gruppo e se la cava benino. Cento metri, duecento, trecento. Alla curva che immette sul rettifilo i cavalli tirano fuori tutto quello che hanno. Energie gestite con il bilancino, anni di diete e allenamenti per arrivare a quell’appuntamento. Ma non per Venere. Comincia a perdere terreno, piano piano la distanza diventa troppa per essere recuperata. Il fantino lavora di frusta ma Venere non ne ha, forse non ne ha mai avuta. La corsa finisce, e con lei il sogno, una scommessa che andava oltre i cinquanta euro. Aveva sognato a occhi aperti. Magari lasciare la strada, potersi permettere un letto, niente di più. Guarda fisso il biglietto, come potesse far ripartire la corsa, come se si potesse cambiare il destino.
Una voce dietro di lui lo scuote. Perso? È una donna, della sua età. Non bellissima, e neanche tanto bene in arnese. Ma ha due occhi di un colore mai visto. E una voce calda, rassicurante. Anche io, purtroppo. Mi ero fissata con questa cavallina, Venere, non so se l’ha vista correre. Uno sfacelo. E pensare che erano gli ultimi soldi che mi erano rimasti. Ho fatto la pazzia di credere che la vita potesse cambiare così, con una scommessa. Stupida, vero?
Lui la guarda, con gli occhi umidi. Io vivo di pazzie, le dice, senza poterle staccare gli occhi di dosso. Beh, sa che facciamo? Andiamo a farci una passeggiata. Dal belvedere qui sopra possiamo godere ancora gli ultimi raggi di sole. Le va? Io mi chiamo Cesare, e lei? Afrodite.
Racconto di Gianluca Fiore (www.ilcavedio.org)
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