Il marionettista ovvero il Tredicesimo arcano circense
di Paolo Negri
La chiave entrò nella serratura, clack!
Cosa trovò il guardiano aprendo la cella, Marie non poteva vederlo, poiché lontana miglia: il suo Michè penzolava appeso a un lenzuolo. Così, dai suoi occhi, cadde, a goccia, la stessa stoffa.
“Cosa ti succede mia cara? Come mai piangi?” chiese la madre. Marie sapeva di amarlo, sapeva quanto poco spazio lui avesse per vivere, eppure rispose “non so”.
Il pianto smise quando una ragazza cerbiatto venne a dare la notizia: “Miché finirà in una fossa comune, senza cerimonia, senza benedizione, con solo una risposta a quel perché”. “Vorrei accarezzarlo un’ultima volta, vi prego” chiese Marie fresca d’un vuoto affamato e calda d’una lunga corsa improvvisa. Il guardiano negò. Aprì alla verità solo quando Marie mostrò una sacca da cui scaturì quel sole tascabile che piace ai ladri: “Portato via. Venduto a un vecchio tirafili che ogni inverno passa in città. Ora vattene donna”. E sbatté il portone sulla di lei disperazione.
A seguire tintinnarono le monete del sorvegliante sulle tavole, sempre di meno, come le foglie del calendario, sempre di meno.
Se l’anno è una ruota, fece un giro completo.
“Perché ci sono solo bambini in questo teatrino ambulante?” chiese Marie.
“Perché i bambini vogliono giocare con tutti, anche con la Morte, gli adulti invece no” rispose insinuante la signora del botteghino. E con l’arto intagliato nel mogano scostò la stoffa d’ingresso: “Prego, accomodatevi”.
Il teatrino delle ossa danzanti era tornato in città.
Scheletri manovrati dall’alto saltavano sul palco per la gioia incredula degli spettatori minorenni. La bigliettaia suonava un organo fatto dello stesso materiale dei ballerini. A fine spettacolo Marie, mossa da un macabro presentimento, corse dietro le quinte. “Dov’è il mio Miché?” e picchiò le mani da lavandaia sul petto del vigoroso marionettista. Lui le bloccò: “L’aspettavo. Ora tocca a lei scegliere, sa cosa troverà”. E la condusse davanti ad una porta.
Lei aprì il cuore vedendo quello scheletro accasciato a terra, con una corona d’oro in testa e un lenzuolo bianco come mantello.
“Che ne avete fatto della sua carne?”.
“I corvi ringraziano signora, è stato un duro inverno anche per loro”.
“Cos’è successo alla sua anima?”.
“Non so signora, io sono solo un semplice marionettista”.
Lo stallo della sposa fece capire all’artista il dovere da compiere.
Fece qualche passo, salì sul ponte di manovra, prese il ferretto centrale, i fili.
E Miché iniziò a muoversi. Marie si avvicinò quieta, gli occhi sbarrati.
Miché le fece una dolce carezza. E dalle orbite di Marie sgorgarono gocce d’osso.
Ispirato alla canzone “La ballata del Michè” di Fabrizio de Andrè e al fantasmagorico scheletro che Radis “The Gipsy Marionettist” Nikolic fa ballare durante i suoi spettacoli.
Tratto da “22 arcani circensi, freaks e simili” edizioni Il Cavedio
Racconto di Paolo Negri (www.ilcavedio.org), illustrazione di Eugenio Broggi
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