Che onore!
di Laura De Filippo
La sala è molto grande, gli scaffali alti, pieni di stoffe, panni morbidi, gomitoli vari di lana, seta, cotone. Gente che corre e cerca le forbici, il gessetto, “datemi l’olio per ungere la macchina per cucire che hanno appena consegnato”, c’è fermento. Mi stanno preparando un vestito, chissà che colori sceglieranno. Già tutto deciso. Non dipende da me, non ho scelta.
Ricordo il giorno in cui sono stata scelta tra tante. Eravamo in fila, una dietro l’altra, in attesa del nostro turno, e fiere di essere lì. “Mi raccomando”, diceva Matroferraio, lo chiamavano così, “state su dritte, mostrate il vostro carattere”. A un certo punto sentii una mano sfiorarmi, mi fece voltare prima a destra e poi a sinistra, con calma mi guardò, osservò la mia postura, e con ammirazione “eccola”. Le parole che ognuna di noi aspettava erano per me.
Un brivido mi percorse tutto il corpo. Non ci credevo, tra tante avevano scelto me. E ora sono qui, le misure per il vestito. Ecco, hanno finito. Le sarte si sono sedute ai loro tavoli da lavoro. Una taglia stoffe. Un’altra sceglie il cotone da usare per cucire. L’altra controlla gli accessori.
Parlano di bande verticali “per ricordare che non ci pieghiamo”, io non potrei mai. Eccoli, i colori, sono belli, speranza, purezza e sangue versato. Non possiamo dimenticare nulla, questo vestito lo porterò per molto, moltissimo tempo. “È come i nostri prati”, dice una delle sarte, sta stirando una stoffa verde “sono quelli della mia infanzia, e ancora mi danno speranza”. “Come le nevi perenni”, aggiunge l’altra che mostra, appoggiandola al petto, una stoffa bianca, pura. “Quanto sono maestose le nostre montagne”. “Ragazze guardate questa, ricorda il sangue dei soldati morti per la libertà”, la terza sarta scoppia a piangere e stringe la stoffa a sé, pensa a suo marito al fronte, che forse non tornerà.
“Su su, date a me” la sarta più anziana, quella che fa da capo, raccoglie tutte le stoffe. “Date a me, vanno cucite insieme, in bande verticali, siamo in ritardo, dobbiamo consegnare, evitiamo i sentimentalismi.
“Arrivano, mi hanno lucidata e ora mi vestono. Che onore, mi infilano una parte del verde, accanto c’è il bianco e poi il rosso, tutte e tre le stoffe si muovono e danzano con il vento.
Mi portano su un balcone, c’è il sole e tanta gente col naso all’insù che mi guarda, sono emozionata. Una voce squillante e con tono fermo dice “Onore alla Bandiera!, tutti alzano la mano destra verso il cappello, salutano me, e il Re.
lo, semplice asta, sono colei che porta il Tricolore!
Racconto di Laura De Filippo (www.ilcavedio.org), mosaico di Umberto Croci, esposto a Imago di via C. Ferrari a Varese.
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