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Stregati dalla poesia

“La poesia salverà il mondo?” È quanto mai azzardato, eppure le recenti letture sembrano andare in quella direzione

poesia

Di questi tempi, coi tamburi di guerra che rullano in ogni parte del Mondo, anche in Europa, dire che “la poesia salverà il mondo” è quanto mai azzardato, eppure le recenti letture sembrano andare in quella direzione, una su tutte “Mio fratello Arthur” edito da Elliot a cura di Antonio Castronuovo, che completa la benefica compassione per un poeta che mi ha dolcemente ossessionato tutta la vita: Arthur Rimbaud.
In questo libro a narrare le ultime sequenze del grande poeta “maledetto” sepolto nel cimitero di Charleville, con la scritta “exoplorateur”, è la sorella Isabelle, che riposa accanto a lui, e che racconta con grande dedizione gli ultimi giorni di vita nell’ospedale di Marsiglia stroncato da un cancro al ginocchio, a soli 38 anni.
Rimbaud è bene ricordarlo è passato alla storia come chi a vent’anni aveva rivoluzionato il modo di far poesia, colui che voleva arrivare all’ignoto con lo sregolamento di tutti i sensi e che dopo le oscure vicende con Verlaine, era fuggito in Africa, come trafficante di spezie, di armi e di schiavi.
In queste lettere Isabelle, che entra a pieno diritto nella storia della letteratura mondiale, rivela quello che per anni sarebbe diventato il “Rimbaud mistico”, che, sembra, negli ultimi istanti di vita fece dire al cappellano che gli somministrò l’estrema unzione, (ma non la comunione), che Arthur era capace di una fede fortissima e si era alfine convertito a Dio. E di qui un lungo dibattito che continua ancor oggi nella sua posterità.

INTERROGARE L’UNIVERSO

Un’altro libercolo “Scrivere cura il nervo” di Sebastiano Adernò, edito da un piccolo editore Ilgromerulodisale, conferma la sua poesia come una interrogazione nell’Universo che già nella prefazione Stefania Giammillaro lo definisce in un contesto di “angoli spigolosi di sciamanico vibrare mistico” solleticando il Divino cui non crede ma sfida ad armi pari: Dio è maiuscolo, ma solo per qualche ultimo “obliterato strascico di educazione:” – Dio è la folgore, Dio è il tuono./Padre figlio e frastuono – conferma in Adernò una pietra preziosa e apocalittica nel complesso e intricato mondo della contemporaneità poetica.

IL TRITTICO FINALISTA ALLO STREGA

E poi il trittico sontuoso di tre libri scelti per la rosa finale del premio Strega, Giancarlo Pontiggia, Alfonso Guida e Marco Corsi, che, non mi stupirei in uno di questi, vedere il vincitore dell’edizione del 2025 del prestigioso premio di poesia. Il primo “La materia del contendere” edito da Garzanti, che promuove Giancarlo Pontiggia com uno dei “poeti centrali della nostra generazione sempre aperto a nuove soluzioni espressive”, che coagula attorno alla tradizione della poesia lombarda, un nuovo modo di pensare la poesia che come scrive Ricardi direttore della collana – La Biblioteca della Spiga-, si configura in una congeniale espressione meditativa “sospesa tra necessità e utopia, realtà e visione, intelligere e sentire.
“Un otre di secoli/straborda fuori da un addome/viscere/ lanciate verso la storia spiriti/che reclamano un passato. / E una voce.Non ho pace, non c’è sonno,/che possa chiudere i miei occhi/non ho pace/notte e giorno è in me/questo gemito di ombre/ Bruciano.

LA POESIA COME ANESTETICO

E poi c’è Alfonso Guida con il suo “Diario di un autodidatta” che apre con la neo-risorta “Guanda Poesia” collana voluta da Federica Manzon e diretta da Mario Santagostini, una prestigiosa serie di libri che fanno eco alla tradizione della gloriosa casa editrice che ha fatto la storia della Poesia italiana.
Il libro, splendido per impostazione e contenuti si abbarbica su un linguaggio colto e contaminato da sinergie linguistiche tipicamente “zanzottiane” come l’apertura geniale del testo, “Dal primo libro sporgeva la testa. Cambiava sesso, immagine, apparenza. Nascondeva il fardello, lo stridore. Povere panchine lasciate sole, tra le donne affollate di nidiate, tra le madonne dipinte con un ago d’abete, e un nodo di crine sul tronco sfibrato di una betulla in disparte. Madonne senza luce. Donne apatiche. Suonavano rapsodie rap di Reipnol”. Uno dei più potenti sedativi per l’anestesia totale che in qualche modo la Poesia offre come metafora alla tremenda realtà che offre al poeta uno strumento di lotta civile imbrigliato e impotente sulle scelte fatte dai nuovi dittatori, perpetrati sopra le nostre teste come il pericolo del nucleare o le guerre a cielo aperto pensate da folli assassini e politiche scellerate, a cui ormai ci siamo assuefatti.

DIALOGARE CON LA STORIA

Infine Marco Corsi sempre della scuderia Guanda con il suo “Nel dopo” che dialoga con la storia e la tradizione della poesia contemporanea e il nuovo linguaggio proiettato sempre nel dopo “siamo noi quel coro di occhi gialli/noi che ci guardiuamo guardati dalla bassa siepe di erbe. Sono questi i laghi che custodiscono/memoria di ghiaccio. E’ maniera,si./E’ la tua istigazione alla morte./Io senza verso non esisto/eccetto questa selva di occhi./ Per questo ripetiamo: – Miserere nostri-”

LA SHOAH

E possiamo non concludere con le “Dissonanze” di Edith Bruck?, moglie ungherese di Nelo Risi grande poeta di sereniana memoria, che ricorda come è stata picchiata “l’ebreuccia dagli occhi striscianti”, deportata con la famiglia ad Auschwitz che scrive che non tutti gli ebrei sono cattivi, brutti e avari che con la poesia invece diventano buoni e generosi. “Avevi vent’anni/quando io e Adele, tue sorelle/ti abbiamo ritrovato sopravvissuto come noi/alla gehénna hitleriana/e a pieno fiato ti abbiamo interrogato/ sulla fine di nostro padre/. Dopo un silenzio infinito/ come fossero dosate/tra un respiro e l’altro/hai raccontato/. “ Tornando dal lavoro forzato/ nel reparto malati terminali/ ho trovato il giaciglio vuoto”…/ Ho fatto sopravvivere solo il nome/ di nostro padre,/ dandolo all’unico figlio/ in yddish Sholem,/ in aebraico Shalom./
E oggi la storia capovolge gli scenari ma sempre di morti innocenti si tratta, perché a morire sono sempre i figli del popolo, non dei gerarchi, o degli imperatori del caos. Si levi alta la voce della poesia civile. Premio Campiello 2023 alla carriera ben meritato.

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Pubblicato il 13 Aprile 2025
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