CCR: “La crisi? La temevamo dal 2003”
Un gruppo di ricercatori è al lavoro da quell’anno per valutare i rischi dell’esposizione bancaria. E ha scoperto, fin da subito, che qualcosa proprio non andava
La crisi finanziaria? Era già in incubatrice dal 2003. O almeno c’erano tutti i presupposti, dal punto di vista bancario, perché andasse in crisi il sistema. A spiegarlo è un gruppo di ricercatori del CCR, al lavoro proprio da quell’anno per valutare i rischi dell’esposizione delle banche e della mancanza di fondi che possano costituire una riserva in caso di rovesci del mercato.
«Noi siamo un centro di ricerca che fa supporto alle politiche della commissione. Dopo esserci occupati per anni di protezione dell’ambiente e sicurezza del cittadino, le direzioni europee ci hanno sempre più sollecitato a fare ricerca per riformare la legislazione economico-finanziaria. E cominciando a studiarla ci è stato presto chiaro, prima ancora della crisi, che ci fossero dei difetti che andavano assolutamente corretti sui depositi bancari e sulle loro riserve – spiega Francesca Campolongo (nella foto), dell’Istituto per la protezione e la sicurezza del cittadino, gruppo di protezione finanziaria – L’avevamo scoperto nel 2003, ben prima dello scoppio della crisi del 2008. Non è che fossimo nelle condizioni di sapere se e quando sarebbe scoppiata la crisi, ma ci eravamo già accorti che c’era una situazione che creava problemi. Un dubbio che ci ha portato ad approfondire l’argomento con grande vantaggio quando poi si è avverata, perchè abbiamo potuto portare una quantità abbondante di dati a supporto di quello che stava succedendo e che rischiava ancora di succedere, in modo pressocchè istantaneo. Abbiamo permesso così ai politici europei di prendere decisioni tempestive ed informate».
Una situazione che si è sviluppata completamente all’interno degli istituti di credito: «La verità è che le banche non si sono comportate responsabilmente sulla gestione delle riserve e della liquidità – ha proseguito Francesca Campolongo –I momenti di discesa del mercato esistono, ma di solito sono supportati dalle riserve di liquidità delle varie banche. Le quantità a disposizione per far fronte alle mancanze, nell’ottobre del 2008, erano invece assolutamente insufficienti. Così i governi sono stati costretti a stanziare ingenti somme di denaro pubblico, appesantendo gli oneri dei contribuenti per molti anni a venire».
Quello che il centro di ricerca di Ispra ha affrontato fino dal 2003 è stato soprattutto un lavoro di revisione sulla direttiva del 1994 sui sistemi di garanzia dei depositi, che imponeva un fondo di garanzia per ogni Stato e un livello di protezione di almeno 20mila euro per deposito, ma senza precisare molto di più: «Con il risultato che le soluzioni sono state molto eterogenee. L’Italia, per esempio, aveva 100mila euro nominali, ma erano solo sulla carta, non erano cioè messi a disposizione ex ante, ma solo un obbligo a metterli a disposizione in caso di necessità. E diversi altri paesi europei non avevano nemmeno messo soldi in cassa per i fondi».
Il lavoro già cominciato ha portato alla direttiva UE del marzo 2009, che è stata una risposta celerissima alla crisi finanziaria: innalzando, innanzitutto, il livello di protezione minimo obbligatorio delle banche a 50mila euro per ogni deposito custodito, che diventeranno poi 100mila euro dal 31.12.2010.
«Dopodichè il nostro lavoro è continuato, anzi ha subito un accelerazione: abbiamo appena presentato 400 pagine di nuove proposte di revisione della direttiva che sono ora all’approvazione del parlamento e del consiglio».
Il segreto: un modello matematico inventato dal gruppo di lavoro per l’occasione: si chiama Symbol e stima le perdite potenziali che possono colpire un sistema bancario in caso di fallimento di una banca. «Grazie a questi strumenti abbiamo stabilito qual era il livello di protezione ottimale, abbiamo stabilito quanti fondi dovevano essere tenuti da parte, studiato come personalizzare la definizione di livello di rischio delle singole banche. Inoltre abbiamo creato anche un database di funzionamento dei fondi di garanzia con l’EFDI. E infine stiamo effettuando anche delle analisi statistiche per valutare l’impatto
di queste risoluzioni. Perchè niente è gratis – conclude la ricercatrice – E bisogna stare attenti infatti con le norme, perché è giusto che un mercato indisciplinato venga regolamentato, ma non si deve paralizzare l’economia».
Accedi o registrati per commentare questo articolo.
L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.