Ubi Banca, lo “spezzatino” è servito
Con l'acquisizione di Ubi, Intesa Sanpaolo diventa una mega-banca di sistema. In provincia di Varese arriva Bper cha ha acquisito 67 tra filiali e punti operativi ma non ha una storia sul territorio
Prima di fare qualsiasi considerazione in merito all’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa Sanpaolo, vanno ribadite due cose: quella di Intesa è stata una legittima operazione di mercato; lo “spezzatino” di Ubi Banca era previsto da un accordo vincolante sottoscritto da Banca Intesa e Bper per effetto del quale la prima si impegnava a cedere e la seconda ad acquistare un ramo di azienda composto da 400/500 filiali, diventate 587, compresi i punti operativi (filiali senza autonomia contabile), dopo l’intervento dell’Autorità antitrust.(nella foto la filiale di Angera)
La disposizione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, relativa alla cessione delle filiali di Ubi Banca, si basava sulla considerazione che qualora fosse andata in porto l’offerta di pubblico scambio, questa avrebbe determinato in alcuni territori una posizione dominante di Banca Intesa, alterando così la concorrenza nel mercato bancario.
CARTA CONTRO CASSA
«Carta contro cassa». Così Andrea Resti, docente di Finanza alla Bocconi e già membro del Consiglio di sorveglianza di Ubi Banca, ha definito l’operazione di Intesa Sanpaolo. Una novità nel panorama della finanza: «Prendi una banca e ti pagano pure» scrisse ironicamente l’economista su Lavoce.info il 21 febbraio 2020. L’acuto commento di Resti era corretto perché Intesa con la vendita delle filiali Ubi avrebbe incassato da Bper una bella somma, rafforzando al tempo stesso la propria posizione di mercato senza sborsare un solo euro per l’acquisizione della banca.
Il cda di Intesa il 17 luglio 2020 decideva di incrementare il corrispettivo in azioni dell’offerta con una componente in denaro di 0,57 centesimi di euro per ciascuna azione di Ubi Banca portata in adesione, corrispondente ad un esborso massimo pari a circa 652 milioni di euro in caso di integrale adesione all’offerta. Meglio che niente, ma ancora poco per una banca sana ed efficiente come Ubi.
INTESA DIVENTA UNA MEGA-BANCA DI SISTEMA
L’Italia aveva iniziato da tempo un processo di razionalizzazione del mercato bancario per opera degli stessi istituti di credito, che avevano dato vita ad aggregazioni e fusioni, per opera del legislatore, con la riforma delle popolari, e anche purtroppo per mano della magistratura. L’assetto del sistema bancario, al momento dell’Ops, schierava due banche di sistema con una significativa presenza all’estero, Unicredit e Banca Intesa, e una serie di istituti di medie dimensioni, tra cui Ubi Banca, Banco Bpm, il Gruppo cooperativo Iccrea, Monte dei Paschi di Siena, il Gruppo di Cassa Centrale Banca, sempre legato al credito cooperativo, e Bper. Un sistema nel suo complesso in equilibrio, in cui la stessa Ubi Banca veniva indicata come soggetto potenzialmente aggregatore. Probabilmente l’aggregazione con un altro gruppo sarebbe arrivata alla fine di quest’anno se Ubi non fosse stata anticipata da Intesa che oggi è diventata una mega banca di sistema, dimensione che sicuramente non dispiace alla Bce.
I TEMPI SBAGLIATI
Parlare di errori con il senno di poi è facile. Ma il 17 febbraio 2020, il giorno della presentazione del nuovo piano industriale di Ubi Banca, alla domanda di un giornalista su come si posizionava l’istituto di credito nel risiko bancario in corso, il consigliere delegato Victor Massiah rispose che non c’erano novità ma non si escludeva una strategia di crescita a due condizioni: «Chiarezza nella governance e creazione di valore». Poco dopo le 23 di quello stesso giorno Banca Intesa rese nota al mercato la decisione del cda di promuovere l’Ops, quanto bastava a far saltare qualsiasi iniziativa di aggregazione in corso.
UNA PICCOLA RIVINCITA DURANTE IL LOCKDOWN
La notizia della clamorosa offerta di Intesa perse il suo slancio di lì a pochi giorni con l’arrivo del coronavirus. Nei mesi più difficili dell’epidemia, Ubi Banca dimostrò tutta la sua efficienza e capacità di organizzazione sui territori in cui era presente. Gli investimenti fatti in tecnologia e formazione avevano permesso di mantenere operative, fin dall’inizio della pandemia, diecimila postazioni in smartworking. Ubi Banca a pochi giorni dell’entrata in vigore del decreto liquidità aveva erogato il 50% di tutti i crediti fino a 25mila euro a livello di sistema Italia. Una sorta di record, considerato che si trattava di una percentuale molto al di sopra della sua quota di mercato che a livello nazionale era intorno al 6%. Davide Galli presidente di Confartigianato imprese Varese confermava che le banche più legate al territorio, ovvero Ubi Banca e Bcc, erano quelle che si erano comportate meglio e con più efficienza rispetto a tutte le altre.
I SERVIZI BANCARI SONO UNA COMMODITY?
Se è vero che i risparmiatori mettono i loro soldi dove più gli conviene a fronte di un servizio che è sempre più standardizzato, è altrettanto vero che il rapporto con una banca si basa molto sulla fiducia. «Un rapporto di fiducia – ha osservato il sindacato di categoria all’indomani della cessione delle filiali Ubi – non si costruisce a tavolino ma necessita di molto tempo». In una provincia come quella di Varese dove c’è una forte presenza industriale, un manifatturiero che da due secoli produce ricchezza e innovazione, un tessuto ben radicato di micro, piccole e medie imprese, il rapporto con la banca è a dir poco strategico.
Cancellata Ubi Banca dalla geografia del credito, nelle 67 filiali cedute in provincia di Varese subentrerà Bper che non ha una storia sul territorio. Questo non è un giudizio sulla banca emiliana, ma un dato di fatto che è destinato a pesare nella formazione di quel rapporto di fiducia.
Ubi Banca aveva nel suo Dna buona parte della storia del credito della provincia di Varese. In molte filiali, come per esempio quella di Ispra, sul muro che delimita l’area della banca c’è ancora ben visibile la scritta “Credito Varesino“. Ad Angera sul muro esterno della banca è scolpita un’enorme cartina del Lago Maggiore che ricorda la Popolare di Luino, fondata nel 1885, con le principali filiali del territorio.
Questa operazione ha portato in provincia di Varese Bper che, prima dell’Ops di Intesa, aveva in totale 1.100 sportelli e una capitalizzazione pari a 2,3 miliardi di euro. Mentre Ubi Banca, nelle 18 regioni italiane in cui era presente, poteva vantare 1.600 sportelli e 3,3 miliardi di euro di capitalizzazione (fonte istruttoria Antitrust).
«Più che un accordo di integrazione tra Intesa e Ubi, questo è un progetto di frammentazione del patrimonio di Ubi» sentenziò, a suo tempo e con qualche ragione, l’ex presidente di Ubi Banca Letizia Moratti.
OPA OSTILE O NON CONCORDATA?
Alla fine, quando tutto si è compiuto, conta poco definire se l’operazione condotta da Intesa su Ubi sia stata ostile o meno. Victor Massiah liquidò la questione con una battuta: «Avete mai visto in Italia Opa ostili sulle banche?». Certo è che aver lanciato l’offerta di pubblico scambio nello stesso giorno in cui Ubi Banca presentava ufficialmente il piano industriale agli investitori stranieri e alla stampa, più che un’azione “amichevole” sembra una dimostrazione di forza.
Ciò che occorre ribadire è che il mercato ha emesso il suo verdetto e come tale va accettato perché «non si può invocare il mercato solo quando fa comodo» tanto per usare le parole dell’ex consigliere delegato di Ubi.
Rimane aperta la questione degli effetti che questa decisione avrà sui territori. Non di tratta di una questione di poco conto perché come ripeteva lo slogan di Ubi Banca: «La fiducia non si compra».
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