Etica e sostenibilità, i pilastri su cui i giovani industriali costruiranno il futuro
L'assemblea del Gruppo giovani imprenditori di Univa sceglie la via italiana alla ripresa, dal valore ai valori. Sostenibilità ambientale e sociale strumenti per raggiungere quella economica
Dopo aver assistito all’assemblea annuale del Gruppo giovani imprenditori di Univa, pensando al futuro, ci si sente più sollevati. È una bella sensazione. Come quando si guarda il cielo nelle chiare notti d’estate e si riconoscono le costellazioni, i pianeti visibili e soprattutto la stella polare, il punto fermo per orientarsi e ritrovare la rotta di casa quando la bussola è impazzita.
La relazione della presidente Eleonora Giorgia Munari, dal titolo “Impressioni di futuro. La nuova impresa”, scritta nel pieno di un’emergenza pandemica, ha brillato di quella stessa chiarezza. Nelle parole di questa giovane imprenditrice non c’è solo «l’orgoglio di essere cittadina» di un territorio che ha ritagliato il suo profilo a immagine e somiglianza dell’impresa, ma molto di più. C’è la sana consapevolezza di non sapere, un’ammissione che è al contempo un gesto di umiltà e di responsabilità.
«Ripartiamo dal non sapere quale sarà l’impresa del futuro – ha detto la presidente Munari – quanto basta per rimetterci in discussione e per riorientare i valori delle nostre aziende». Le sue stelle polari, però, la giovane presidente, le vede chiaramente: «Etica e responsabilità sociale sono i due pilastri su cui ricostruire la nostra competitività». E ancora: «Noi non siamo delle onlus ma serve una sostenibilità ambientale e sociale. E non esiste concetto di impresa senza sostenibilità economica».
C’è un allineamento perfetto in casa degli industriali varesini. Il discorso della presidente Munari non tradisce discontinuità rispetto alle parole del presidente Roberto Grassi e del suo predecessore Riccardo Comerio, intervenuto all’assemblea in qualità di presidente dell’università Liuc, il braccio del sapere al servizio delle imprese. A partire dagli investimenti strategici da fare con i fondi in arrivo da Bruxelles, «risorse da investire per le nuove generazioni e rendere attrattivo il territorio per i giovani talenti». Dare una svolta alla formazione, priorità delle priorità, «concentrandosi sul potenziamento degli Its», istituti di formazione post-diploma, strategici per l’intero sistema Paese in quanto aiuterebbero le imprese a trovare quei profili professionali che oggi faticano a reperire sul mercato del lavoro.
A Massimo Folador, docente di Business Ethics alla Liuc business school, ospite dell’assemblea, brillavano gli occhi. E non era un effetto dello schermo del computer. Per un docente che è a sua volta imprenditore e scrittore, che da un quarto di secolo studia tutto ciò che oggi viene riassunto nella parola «sostenibilità», sentire quelle parole provenire dai giovani industriali deve aver fatto lo stesso effetto che fa al naufrago – non dimentichiamo che è un’economista – la vista di un approdo.
Folador, che ha il pregio di indagare l’etimologia delle parole, ricordando un discorso fatto da Adriano Olivetti ai lavoratori di Pozzuoli ha esordito con due domande pesanti: oltre al profitto c’è spazio per altri valori? Il profitto è sempre utile all’impresa? «Ilva di Taranto, Monte dei Paschi di Siena, Lehman Brothers, per fare degli esempi, erano imprese che pensavano solo a generare profitto – ha spiegato il docente della Liuc – . Se invece l’impresa si concentra sul valore ambientale e sociale ecco che compare il termine sostenibilità».
Il passaggio dal valore ai valori segna dunque il passaggio dalla massimizzazione del profitto, sostenuto dall’economia classica, alla sostenibilità che, secondo Folador, è prima di tutto «una finalità economica in assenza della quale viene meno l’essenza dell’impresa stessa». Il tema è dunque vivere la sostenibilità economica come finalità è la sostenibilità ambientale e sociale come strumenti determinanti per raggiungerla.
«Non si tratta di abiurare vecchi modelli ma di integrarli» ha sottolineato il docente. Il valore di un’economia in grado di aprirsi e quindi di integrarsi con l’ambiente e la persona è al centro del nuovo saggio di Folador intitolato “Verso un’economia integrale“, pubblicato da Guerini Next, scritto a quattro mani con il frate minore Giuseppe Buffon, ordinario di storia della Chiesa alla Pontificia università Antonianum di Roma.
L’invito esplicito di Riccardo Di Stefano, presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria, a portare questo tema sul tavolo nazionale, la dice lunga sull’impatto avuto da questa assemblea. Affrontare temi epocali, manifestando al contempo la necessità di una messa a terra che, seppur necessaria, non sarà né semplice né scontata, richiede coraggio e lucidità. «Noi vogliamo costruire un Paese che non abbia solo un Pil in crescita, ma che sia più inclusivo, più moderno e più equo – ha concluso Di Stefano -. Ci preoccupano i dati riguardanti la demografia in calo, l’aumento dei Neet, il blocco dell’ascensore sociale e la diminuzione dei giovani imprenditori. Bisogna ridisegnare un’Italia diversa, facendo emergere quanto l’impresa e l’imprenditore siano attori rilevanti della società».
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