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Per allenarsi a riscoprire le proprie risorse serve il giusto “coach”

Un percorso di coaching aiuta chi lo intraprende a trovare (o ritrovare) risposte, stimoli e motivazioni dentro di sé. Le coach professioniste Antonella Pella e Nadia Maniscalco spiegano in cosa consiste questa metodologia. Mercoledì 10 novembre (inizio ore 13) un webinar gratuito

Economia varie

Nei momenti di transizione, come quello che stiamo vivendo, serve una buona capacità di reazione, non solo per non perdere le opportunità nascenti ma anche per rileggere in chiave attuale anche la propria esperienza nel mondo del lavoro. Di fronte a un cambiamento non è facile trovare delle risposte o una nuova motivazione, almeno non senza un metodo o un percorso guidato. Il coaching, parola che sentiamo pronunciare spesso, a volte sovrapposta e confusa ad altre metodologie, è uno di questi. Il suo scopo è infatti valorizzare e massimizzare il potenziale nascosto della persona o recuperare capacità che si credevano perdute. (nella foto da sinistra: Antonella Pella e Nadia Maniscalco)

TU SEI AL CENTRO

Nadia Maniscalco e Antonella Pella, due coach professioniste con credenziali ICF come Associate certified coach, con esperienze importanti nella selezione del personale e nella gestione delle risorse umane, hanno realizzato un progetto di coaching dal nome a dir poco evocativo: “Tu sei al centro” (www.tuseialcentro.it).
«La pandemia – racconta Antonella Pella – ha messo i riflettori sul coaching, facendoci riflettere sui nostri modelli di vita e portando tutti su un livello di profondità diverso. Oggi questa metodologia, pur essendo conosciuta, ha il problema di distinguersi da altre forme certificate di professionalità, come il counselling e il mentoring, che sono tutt’altra cosa, e soprattutto di difendersi dai finti coach, persone che per il solo fatto di aver frequentato un corso si definiscono “coach”. Noi abbiamo lavorato moltissimo sulla certificazione e fatto un percorso etico».

COME FUNZIONA UNA SESSIONE DI COACHING

Il coaching è una pratica molto democratica nei principi e socratica nel metodo adottato. Non ha la pretesa di insegnare e tantomeno di psicanalizzare, ma aiuta la persona a trovare le soluzioni con le sue risorse. Il coach e il coachee sono sullo stesso piano, ciò che il professionista deve fare è solo ascoltare e stimolare con precise tecniche il cliente affinché trovi da solo le risposte alle sue domande. «Quando è in sessione – spiega Nadia Maniscalco – il coach deve lasciare fuori tutto quello che gli appartiene, zittire ogni pregiudizio e preconcetto e concentrarsi solo sulla persona. Una delle competenze più importanti è l’ascolto attivo, un ascolto che non interrompe e capace di leggere al di là delle parole e tra le righe le intuizioni che poi possono essere condivise. È un invito a conoscersi. Il coach tifa sempre per il coachee perché sa che le risposte le ha dentro di sé, si tratta solo di attendere con pazienza che emergano. È allo stesso tempo uno spazio protetto che va nel profondo senza sconfinare in altre competenze».

NON SIAMO CONSULENTI

«Una cosa che ci salva rispetto al carico emotivo – aggiunge Antonella Pella – è l’idea di non dover dare delle risposte, perché il coach non è un consulente. È il percorso di ricerca quello che conta e sapere che aiuteremo la persona ad accettare un dato di fatto e a vedere tante possibilità, solitamente più di quelle che la stessa persona immagina. Si va a vedere qual è la cosa migliore che può succedere e quale la peggiore, concentrandosi sull’azione si perde il carico emotivo delle conseguenze. Il nostro codice etico ci frena nel momento in cui vediamo che c’è un tema che invece va passato a un altro professionista con diverse competenze. Ci sono anche sessioni in cui si decide insieme al coachee cosa gli può servire di più».

PRATICATO ANCORA POCO DA IMPRESE E MANAGER

In un recente sondaggio Ferdinando Pagnoncelli ha rilevato che su un panel di 210 professionisti di azienda interpellati sul coaching, il 50% era a conoscenza dell’esistenza di questo metodo, ma solo l’11% ne aveva avuto un’esperienza diretta, mentre il 34% si era detto interessato. Il Coaching avrebbe quindi notevoli potenzialità di sviluppo in azienda e potrebbe essere utilizzato anche dalle associazioni di categoria come servizio da offrire ai propri associati. Ad utilizzare il coaching sono soprattutto realtà aziendali medio-grandi, molto meno le micro e piccole imprese.
 A scegliere l’attività di coach sono persone che vengono da esperienze e formazioni diverse. C’è chi ha basi di psicologia o umanistiche, ingegneri e tecnici e chi ha lavorato nelle risorse umane. Spesso l’input a iniziare questo percorso arriva dall’alto come è capitato a Nadia Maniscalco. «Era da tempo che mi chiedevo come potessi essere di aiuto agli altri – racconta la coach – poi un giorno il mio capo mi ha detto: “Tu che fai già i colloqui di lavoro perché non fai un corso di coaching?”. Oggi sono soprattutto le realtà strutturate che si servono del coaching, rispetto alle aziende più piccole. Quindi i margini di crescita sono notevoli».

Il coaching è dunque uno strumento utilizzato da imprese e manager per il raggiungimento
dei propri obiettivi e per accelerare la propria evoluzione. «Il pubblico che si avvicina a questa metodologia riflette la distribuzione della popolazione aziendale – conclude Antonella Pella – Purtroppo più si sale di livello e meno si trova la presenza femminile. Nelle multinazionali e nelle grandi aziende si tende a offrirlo insieme a percorsi di sviluppo in aula e di formazione».
A proposito, secondo uno studio il coaching avrebbe effetti quadruplicati rispetto alla stessa formazione. E il fatto che sia lo stesso coachee a contribuire attivamente alla creazione del percorso di coaching, non è un dettaglio indifferente.

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Antonella Pella e Nadia Maniscalco terranno mercoledì 10 novembre dalle ore 13  alle ore 14 un webinar gratuito per iscriversi, inviare un messaggio QUI

Pubblicato il 03 Novembre 2021
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