Grassi: “Ecco tre motivi per temere i dazi”
L'analisi del presidente di Confindustria Varese sugli effetti della politica economica di Trump: "L'Europa deve mettere in campo risorse shock per il nostro rilancio"

L’industria della provincia di Varese ha sempre avuto alla voce export uno dei suoi capitoli più importanti. Ammontano a 11,7 miliardi di euro i prodotti e servizi esportati nel 2024 all’estero, mentre si attestano a 9,1 miliardi le importazioni, con un saldo commerciale pari a 2,5 miliardi.Tra i maggiori mercati di sbocco ci sono Germania (1,4 miliardi), Francia (1,03 miliardi), Usa (864 milioni), Regno Unito (784 milioni) e Spagna (611 milioni).
Nell’export soffrono alcuni settori più di altri, in particolare l’elettrodomestico e gli articoli di abbigliamento, escluso la pellicceria. Ci sono comunque dei settori che contribuiscono positivamente, ma non sufficientemente da portare in terreno positivo il dato generale: gli aeromobili, veicoli spaziali e relativi dispositivi e i medicinali e preparati farmaceutici.
Secondo Roberto Grassi, presidente di Confindustria Varese, le tensioni globali hanno sempre una certa importanza e impatto su un sistema produttivo come quello varesino fortemente internazionalizzato, che esporta più del 40% del valore aggiunto prodotto.
TRE MOTIVI PER TEMERE I DAZI
«Per le nostre imprese l’export è sempre stato un elemento che ha fatto da contrappeso all’ormai strutturale contrazione della domanda interna – commenta Grassi – È da sempre il nostro fiore all’occhiello, anche se in questi ultimi mesi è risultato essere in affanno come testimonia il calo del -7,6% registrato dalle esportazioni varesine nel corso del 2024. Segno di quanto il contesto sempre più complicato stia incidendo sulle nostre performance anche in termini di livelli produttivi. Il rischio di una guerra dei dazi con gli Usa non può, dunque, che preoccuparci. Per tre motivi: il primo è dato dal fatto che gli Stati Uniti (con 864 milioni di export) rappresenta (pur in calo di oltre il 22% nell’ultimo anno) il terzo mercato di sbocco per l’industria varesina, il primo extra-Ue, con una quota del 7,4% sul totale delle nostre vendite all’estero. Il secondo è che anche gli altri due primi partner commerciali, ossia Francia e Germania, potrebbero essere pesantemente colpiti dagli stessi dazi con un effetto traino e moltiplicatore sulle nostre imprese così fortemente inserite nelle supply chain manifatturiere tedesche e francesi. Il terzo motivo di attenzione è più generale, legato al fatto che un aumento delle tensioni commerciali a livello globale rischia di comportare ulteriori stravolgimenti nell’organizzazione delle filiere produttive già in forte trasformazione. Difficile prevedere oggi le conseguenze dell’amministrazione Trump sulla nostra industria».
UNA SOLA CERTEZZA
«C’è, però, un elemento di certezza, pur non tranquillizzante: anche la sola politica di annuncio dei dazi, al di là di quanto e come gli Stati Uniti passeranno dalle minacce ai fatti, sta avendo conseguenze nelle strategie aziendali con riposizionamenti e riorganizzazioni i cui effetti vedremo solo tra qualche mese. In questo, un elemento di ottimismo credo però sia garantito dalla grande flessibilità e capacità di adattamento ai contesti che le nostre imprese, Pmi incluse, hanno sempre dimostrato nei momenti più difficili, con importanti ripensamenti di prodotto e di processo. Le nostre imprese non possono, però, essere lasciate sole di fronte a queste sfide. La difesa dell’interesse dell’industria nazionale oggi passa da una coesa politica economica europea, su questo non ci sono dubbi. Continuiamo a ripeterlo: non ci sono governi nazionali europei che possano incidere da soli su uno scenario globale competitivo tra grandi blocchi continentali. Non dobbiamo cadere nella tentazione di accordi bilaterali, dobbiamo stare uniti e richiamare i nostri partner internazionali al rispetto dei trattati e al valore del libero scambio, anche in termini di promozione della pace».
PIÙ COESIONE IN EUROPA
Il vero problema oggi è che non vediamo quella forte spinta federativa verso un’Europa coesa nel concreto, al di là delle parole e degli annunci. La strada è quella già indicata da Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività europea, che si deve trasformare in un programma di politica industriale comune. Partendo dal presupposto del suo stesso autore: serve mettere in campo risorse shock per il nostro rilancio. Sempre a livello europeo chiediamo una rivisitazione di tutte quelle parti autolesioniste del green deal che rischiano di frenare ulteriormente la nostra competitività internazionale. A livello di politica industriale nazionale, invece, i costi dell’energia rappresentano una priorità che richiede sia decisioni immediate con un intervento sul meccanismo di composizione del prezzo (da slegare da quello del gas), sia con una seria strategia di ritorno al nucleare. Infine, serve un rilancio degli investimenti con un allargamento della platea e della copertura dell’Ires premiale e una riattivazione di Industria 4.0. E poi: certezza del diritto e semplificazione, da cui dipende la nostra capacità di attrarre investimenti».
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