Casa della Carità e Fondazione Comunitaria del Varesotto. Il cuore della città, la forza di una rete
Un hub dell’accoglienza e dell’assistenza che coinvolge oltre 250 volontari, migliaia di gesti concreti e un modello di collaborazione fondato su una rete complessa

Al primo piano della Casa della Carità di Varese c’è una foto che ritrae alcuni frati intenti a distribuire minestra e pane. “Aperti dal 1938”, recita una scritta sopra l’immagine. I frati non ci sono più dal 2013, ma quella vocazione originaria di aiuto ai poveri della parrocchia della Brunella non solo è rimasta, ma è stata ulteriormente sviluppata con una serie di servizi, diventando un punto di riferimento importante.
(nella foto da sinistra: Matteo Aimetti, Federico Visconti, don Marco Casale ed Elisa Martinelli)
I NUMERI DELLA CASA DELLA CARITÀ
I numeri della Casa della Carità, nata dieci anni fa, sono impressionanti, segno dell’esistenza di un bisogno diffuso e trasversale, aumentato sensibilmente dopo il Covid. Nel 2024 ha accolto 601 persone, offerto 35.611 pasti, erogato 1.714 servizi doccia, donato 4.061 cambi d’abito, distribuito 4.316 farmaci attraverso il dispensario farmaceutico, e registrato 879 accessi all’emporio per fare la spesa. Servizi che si reggono sulle spalle di volontarie e volontari: un vero e proprio hub dell’assistenza ai più bisognosi.
«I pilastri portanti di quest’opera sono le persone – spiega don Marco Casale, considerato l’anima e il cuore della Casa della Carità –. Sono le braccia e le gambe di 250 volontari che ogni giorno muovono le nostre attività. Per quanto riguarda le donazioni, parliamo di un’opera di popolo, perché perlopiù si tratta di numerose piccole somme».
LA FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO
Un passaggio fondamentale nella nascita di questo polo è stato la costituzione di un’associazione di volontari, che ha dato vita a una vera esperienza di filantropia reale, inclusiva, basata sulla partecipazione e il contributo delle persone. Un esempio in linea con il nuovo corso della Fondazione Comunitaria del Varesotto, guidata da Federico Visconti, che ha voluto toccare con mano questa realtà virtuosa.
«A noi interessa un modello di interazione tra la fondazione e l’ente del terzo settore – ha detto Visconti – che metta a sistema progetti da realizzare in partnership, in modo un po’ visionario, rispetto ai bisogni del territorio».
Essere visionari, in questo caso, significa scardinare con coraggio vecchi schemi e rendite consolidate – anche se nate da buone intenzioni – per andare al cuore dei problemi reali. La visita alla Casa della Carità, per la Fondazione Comunitaria del Varesotto, è dunque importante per progettare un nuovo modello.
Visconti un suo algoritmo in testa ce l’ha già: «Ogni volta che devo assegnare mille euro, mi chiedo quanti pasti ai più bisognosi potrei erogare con quei soldi». Chi lo conosce sa che ama scherzare, ma dietro la battuta c’è sempre il pensiero di un economista di rango, che fino a ieri è stato rettore di un’università.

ATTRARRE RISORSE
«In questi casi, la concorrenza non è sul modello di servizio, ma nella capacità di attrarre le risorse. Un classico tema da management» sottolinea Visconti. In questa visione, la scelta dei progetti, l’indirizzamento delle risorse e il loro conseguente utilizzo diventano fondamentali nella realizzazione del modello, scelta che deve essere in linea, per lo meno, con le indicazioni statutarie della fondazione.
La Casa della Carità, sul fronte risorse, si è mossa molto bene. La sua azione inclusiva ha funzionato nel reclutamento di nuovi donatori. «Se osserviamo il grafico con l’andamento delle donazioni – spiega Matteo Aimetti coordinatore della struttura – notiamo, dal 2023 al 2024, una crescita del 46 per cento. Con il 5 per mille siamo passati da quattromila a novemila euro».
Essere sostenibili non vuol dire solo fare le cose e farle bene, ma farle durare nel tempo. «Dare continuità alla nostra azione mantenendo la qualità dei servizi è la vera sfida quotidiana», aggiunge Aimetti.
UNA PARTNERSHIP CRESCIUTA NEL TEMPO
I rapporti tra la Casa della Carità e la Fondazione Comunitaria del Varesotto sono iniziati nel 2015, con un’evoluzione scandita dal tempo. «Si è iniziato con la rendicontazione di un bando per interventi sociali da cinquemila euro e si è proseguito con progettualità sempre più condivise – racconta il coordinatore della struttura –. Il punto di svolta è coinciso con l’apertura serale della casa: così ci siamo seduti intorno a un tavolo per capire quali risorse potesse mettere in campo l’associazione di volontari Il pane di sant’Antonio e quale potesse essere il ruolo della Fondazione Comunitaria del Varesotto».
OLTRE LA LOGICA DEL BANDO
Quel tavolo serviva ai due interlocutori per superare la logica del bando da una parte, e dall’altra evitare di considerare risolto il problema delle risorse. C’è infine un fattore reputazionale e di leadership che incide sulla scelta di donare. «Essere in partnership con soggetti credibili – sottolinea Aimetti – rende più facile attivare alcune leve. Noi abbiamo utilizzato il progetto Esordi, che permetteva di raddoppiare le cifre versate dai donatori direttamente alla fondazione».
Il tema della crescita, tipicamente manageriale, si pone anche nel terzo settore. Visconti prova ad aprire un varco nei criteri strategici che utilizza la Casa della Carità nell’erogazione dei servizi. «Abbiamo sempre avuto in mente dei criteri, ma è la concretezza a muovere le nostre azioni – sottolinea don Marco Casale –. È il bisogno reale che ci interroga, e bisogna partire da lì: saperlo intercettare, capire, leggere, per poi costruire una risposta».
L’altro elemento chiave è sicuramente il tema della rete, tra grandi e piccoli: e la Casa della Carità non è altro che una rete complessa. «Abbiamo messo insieme una parrocchia che aveva questo spazio – conclude il religioso –. Poi abbiamo creato un’associazione di parrocchie, Farsi Prossimo, ospitata qui in comodato d’uso gratuito. A seguire è stata istituita l’associazione di volontari con una mission comune e molto chiara. I nostri volontari sanno perché sono qui: la nostra è una missione legata al Vangelo. Dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire chi è nudo, curare chi è malato. E poiché il Vangelo tocca le dimensioni umane diventa una parola universale, una buona notizia per tutti. È una cosa immediata: se non ci fossero quei duecento pasti al giorno, le persone non camperebbero. O dovrebbero trovare un altro modo per campare… ma come?».
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