Tra pressioni e senso di inadeguatezza, com’è percepito il Ritiro Sociale dei ragazzi a Varese
I risultati della ricerca condotta dal progetto Sakido, dedicato al ritiro sociale dei ragazzi, con oltre 800 questionari a ragazzi, insegnanti e genitori
La Ricerca-azione è un’indagine svolta sul campo con due finalità: raccogliere dati rispetto a un fenomeno specifico e allo stesso tempo essere una vera e propria chiamata all’azione, per attivare le risorse che la comunità già possiede al suo interno. Questo il senso dell’attività promossa da Sakido, progetto che si occupa del Ritiro sociale dei ragazzi in provincia di Varese. La Ricerca-Azione di Sakido si è concentrata sul territorio di Tradate, dove sono state condotte 30 interviste, organizzati 9 focus group e somministrati 842 questionari, coinvolgendo ragazzi, insegnanti, dirigenti scolastici, genitori, servizi sociali, neuropsichiatria infantile, associazioni culturali e sportive, servizi educativi, rappresentanti politici e delle istituzioni.
Il team di ricerca era composto da membri della Cooperativa Sociale L’Aquilone, di Totem Cooperativa Sociale, di Rete Metodi e da insegnanti dell’Istituto Comprensivo Galilei, Istituto Geymonat e Istituto Don Milani di Tradate. Di seguito, in sintesi, i risultati presentati lo scorso 12 Novembre, presso l’aula magna del Liceo Curie di Tradate.
Il ritiro sociale dei ragazzi
La ricerca-azione ha restituito un’immagine del Ritiro Sociale in Adolescenza specifica del nostro territorio. Come è facile intuire, non è un’immagine nitida e uniforme. Anzi. Lo dice bene Silvia Levati, coordinatrice del Progetto Sakido che si occupa proprio del tema: «Preferiamo parlare di Ritiro Sociale, invece che di Hikikomori, perché quest’ultimo è un termine monodimensionale e rimanda solo al modello acuto giapponese. Invece la nostra esperienza racconta qualcosa di molto più variegato, fluido e multidimensionale. Abbiamo incontrato casi acuti, con ragazzi chiusi in camera al buio da mesi, ma anche ragazzi che – anche se continuano ad andare a scuola – hanno completamente interrotto le loro relazioni sociali. Sono tutti volti dello stesso disagio.”
Pressione sociale e paura di essere esclusi
Quello del ritiro sociale dei ragazzi – e su questo tutti gli intervistati sono d’accordo – è un fenomeno in fortissima crescita, che affonda parte delle sue radici nella forte pressione sociale che grava sugli adolescenti, i quali sentono fatica e a volte vergogna perché non riescono ad adeguarsi agli standard richiesti dalla società.
Sentono il peso della performance e il conseguente timore di non essere accettati in caso di fallimento. A questo si aggiungono i pochi di luoghi di ritrovo e socializzazione, ulteriormente diminuiti a seguito della pandemia, e le poche occasioni di sperimentazione del sé, tipiche dell’adolescenza.
Da questo – va da sé – derivano grandi fatiche legate al tema dell’autostima, del corpo e anche all’incapacità di immaginare il futuro.
Un dato rilevante però è anche la percezione – comune a tutti – che la comunità abbia già al suo interno tutta una serie di risorse e possibilità di valore, ma che manchi un coordinamento unitario efficace.
Gli amici, i servizi e la scuola
Tematiche come la relazione con i propri pari, con la scuola e con la tecnologia, invece, dividono la platea degli intervistati, segnalando come la percezione dei genitori, degli insegnanti e dei ragazzi spesso assuma sfumature differenti.
Parlando della relazione con i compagni di classe e gli amici, per esempio, per alcuni rappresenta una risorsa: il gruppo di amici che cerca di mantenere un filo, una connessione, con il ragazzo in ritiro, magari online. Per altri invece è una fatica ulteriore: la delusione di amici che voltano le spalle, che non ci provano nemmeno.
In generale quello che si segnala, però, è il ruolo fondamentale dell’adulto (insegnante o genitore che sia) nello spronare gli amici a non demordere.
La stessa ambivalenza si trova rispetto alla scuola, che per alcuni è un’antenna per captare le prime avvisaglie di disagio e intervenire tempestivamente. Per altri invece è un limite, dove solo in presenza di insegnanti “illuminati” si riesce ad avere un’attenzione adeguata.
Gli insegnanti stessi, poi, lamentano una carenza di formazione specifica sulla tematica.
Rispetto al tema dei servizi, molti degli intervistati adulti lamenta la scarsa accessibilità. A causa della poca disponibilità di alternative gratuite (o comunque affrontabili), troppo spesso la psicoterapia, gli interventi educativi e sanitari diventano un costo a carico della sola famiglia. Gli stessi operatori dei servizi confermano questa percezione, ma il numero insufficiente di risorse umane ed economiche ne limita di molto la possibilità di intervento, soprattutto alla luce della domanda crescente.
«È assolutamente necessario lavorare di concerto – sottolinea la professoressa Antonia Mottola dell’Istituto Don Milani – la parte sanitaria non può essere disgiunta da quella scolastica e familiare».
Il ruolo della famiglia e della comuità
E per quanto riguarda la famiglia? Qual è il suo ruolo in questo fenomeno? Anche qui la faccenda è delicata, perché non sta mai sul piano dell’evidenza, ma interseca anche quello della vergogna, della paura. «Nella percezione degli insegnanti intervistati, ci sono famiglie che fanno fatica ad ammettere la situazione – dice la professoressa Giuseppina Viola dell’Istituto Comprensivo Galilei – altre tendono a minimizzare».
«Per alcuni genitori – aggiunge Silvia Levati – avere i figli in casa e non in giro chissà dove, può essere addirittura assicurante».
Una volta emerso il problema però, le famiglie lamentano forte il tema della solitudine, la sensazione di inadeguatezza e quella di non avere nessuno attorno che possa capire davvero la situazione.
Il valore della Comunità viene riconosciuto da praticamente tutti gli intervistati ed è percepita spesso come carica di ricchezza e di esperienze rilevanti visualizzate però come isole autonome, che difficilmente entrano in relazione tra loro.
Tutti infatti sottolineano la necessità di un coordinamento tra i vari attori della comunità che si occupano di adolescenti.
PROPOSTE DI INTERVENTO
Il confronto e il brainstorming collettivo che si è svolto il 12 novembre attraverso la formula del World Cafè a Tradate, ha fatto emergere alcuni elementi interessanti.
I Luoghi
I ragazzi hanno bisogno di nuovi luoghi di socializzazione e incontro. Che siano spazi liberi, da abitare in base alle loro esigenze. Il più possibile ibridi (sia fisici che digitali), attraenti, facili da raggiungere con i mezzi pubblici e gratuiti.
La Rete
È necessario diffondere maggiormente le informazioni rispetto a quello che già esiste, creando reti organizzate e fluide tra associazioni, famiglie e realtà attive sul territorio. Creare gruppi di automutuoaiuto per i genitori. Ripensare i contesti scolastici ed extra scolastici, su modello delle scuole aperte in stile campus, con attività realizzate partendo dai desideri dei ragazzi.
La Formazione
Molti sentono il bisogno di una formazione specifica per gli insegnanti e per tutti gli operatori che lavorano su questo tema relativamente nuovo e in grandissima crescita.
Ora la palla passa alla comunità, a tutte le persone che la abitano. Individuato ciò che già esiste e ciò che è urgente realizzare, resta la domanda più importante: che cosa posso fare io?
Sakido è il progetto finanziato dalla Fondazione Con i Bambini che si occupa di Ritiro sociale dei ragazzi in adolescenza in provincia di Varese.
Per info: www.sakido.it
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