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La Usag andrà a produrre nei paesi low cost

Nelle fabbriche di Gemonio si continueranno a produrre solo tre tipi di utensili: chiavi dinanometriche, chiavi di precisione e chiavi a «T»

La Usag andrà a produrre i suoi utensili nei paesi low cost, come India e Cina. Nello stabilimento di Gemonio si continueranno a produrre solo chiavi dinanometriche, chiavi di precisione e chiavi a «T». Questa è la ragione per cui ha deciso di licenziare 80 persone. Dopo l’annuncio fatto dal sindacato dei metalmeccanici (Fim Cisl e Fiom Cgil)  nelle assemblee di fabbrica, i lavoratori hanno deciso di fare due presidi nelle fabbriche di Gemonio e Monvalle, venerdì 20 settembre a partire dalle 8, con l’obiettivo di fermare le navette che portano il prodotto finito.
«Tra i lavoratori, impiegati compresi, c’è stato lo sconcerto iniziale – racconta Giuseppe Marasco (foto a destra) della Fim Cisl che ha dato la notizia ai dipendenti della Usag – seguito da un silenzio impressionante».
Negli uffici della Cisl di Besozzo, a due passi dalle fabbriche, c’è altrettanto silenzio. Mai come in questo periodo, sull’asse che va da Luino fino a Vergiate, si è vista una situazione del genere. Il sindacalista fatica quasi a contare le fabbriche metalmeccaniche in cui deve intervenire, risponde al telefono e guarda l’iPad, già perché ormai non riesce quasi più a stare in ufficio, allora tanto vale portarselo dietro. «Qui siamo a un chilometro e mezzo dalla Inda – continua Marasco – e ricordiamo tutti com’è andata. A me fa paura la sfiducia che s’impossessa delle persone. Faccio il sindacalista dal 1986 e se un tempo era normale e frequente vedere un tornitore che se ne andava dalla fabbrica per aprire un’attività in proprio, oggi non lo è più. È più facile vedere persone che si mettono a fare distribuzione che non produzione».

La Usag (Swk Utensilerie srl) fa parte della multinazionale americana Stanley Black&Decker, e questo non è un dettaglio irrilevante per capire quanto sta succedendo. È già accaduto in passato con la Whirlpool e continuerà ad accadere, nel momento in cui gli azionisti ritengono che il loro capitale non sia abbastanza remunerato. In altre parole, se non si guadagna abbastanza, si decide di non rischiare più i propri soldi in un certo paese e si cambia strada. È quello che fatto la Usag che, seppur nei primi 50 posti della classifica delle aziende leader del Varesotto, con oltre 100 milioni di euro di fatturato (+4,7 nel 2011), ha deciso di delocalizzare buona parte della produzione.
«I dati dicono ancora che l’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa – conclude Mario Ballante (foto sopra) segretario provinciale della Fim Cisl – ma ci sono prodotti che qui da noi non reggono più il confronto con la globalizzazione e allora bisogna bilanciare questa perdita con produzioni che hanno sviluppo. Le multinazionali non se ne vanno via del tutto, ma lasciano qui solo un pezzo della produzione, lo fa Usag oggi e lo ha fatto la Whirlpool quando scelse di delocalizzare in Polonia. In questa fase il problema è dare una prospettiva di sviluppo a ciò che si decide di tenere qui, perché altrimenti rimane solo l’emergenza drammatica di 80 persone e altrettante famiglie senza lavoro a cui va data una risposta e soprattutto un sostegno».

Pubblicato il 20 Settembre 2013
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