Corbo: “La sfida ora non è vivacchiare, ma cambiare l’Italia”
Intervista al segretario provinciale del Pd. "Siamo sempre stati una forza europeista e la sfida importante oggi è realizzare un grande piano di rilancio che superi la crisi"
Il Pd di governo piace a Giovanni Corbo, segretario provinciale di quello stesso partito. Da amministratore e manager di un’importante azienda ha chiaro cosa significhi farsi carico delle responsabilità. Parte da qui la sua riflessione politica.
«Durante l’emergenza per la crisi del coronavirus e le trattative con l’Europa l’azione del nostro partito è stata fondamentale. Siamo sempre stati una forza europeista e la sfida importante oggi non è “vivacchiare”, come dice il segretario Nicola Zingaretti, ma è capire come utilizzare al meglio le risorse economiche che avremo a disposizione dalla Ue. Se le useremo per la spesa pubblica avremmo il fiato corto e non cambieremmo il Paese».
Corbo non ha timori a guardare in modo critico l’azione del Pd nel recente passato. «Io sono convinto che l’elettorato ha sempre ragione e se nel 2018 non ci venne data fiducia fu perché era chiaro che eravamo ingessati, incapaci di prendere decisioni importanti. Questo nuovo piano Mashall richiede strategia e se non lo capiamo vivremo una nuova sconfitta».
Cosa farebbe ora con i miliardi che arriveranno?
«Il mio ruolo come segretario provinciale è quello di proporre idee al mio partito. È chiaro che in momento così difficile occorra prestare attenzione alle persone in difficoltà, ma la risposta non può essere il reddito di cittadinanza».
Ma questo intervento è una priorità del M5S, come fate a conciliare l’alleanza?
«Io non contesto l’esigenza di farsi carico dei problemi economici dei cittadini. La ragione di fondo del reddito di cittadinanza è valida, ma con le nuove risorse non possiamo pensare a quella soluzione. Non è l’assistenzialismo la risposta alla crisi. Noi abbiamo bisogno di un progetto strategico che parta dalle infrastrutture. Non solo quelle fisiche, ma anche tecnologiche in modo da colmare il gap che abbiamo con gli altri paesi. Si pensi solo allo smart working che richiede formazione, connettività adeguata e altre condizioni. Eravamo tra gli ultimi e dobbiamo cambiare».
Questo però è un tema da relazioni sociali. Cosa c’entra la politica?
«A questo proposito va recuperato un dialogo con il sindacato. Oggi più che mai fare rete e non muri è fondamentale. Il post covid è un dopoguerra senza che ci sia stata la distruzione dei muri. Noi dobbiamo confrontarci a tutti i livelli, anche provinciale, con le associazioni di categorie e i sindacati. È una nostra responsabilità proprio come politica favorire dialogo e cooperazione»
Ci sono solo temi economici nelle priorità del suo partito?
«No, no. Siamo impegnati seriamente sui diritti civili e su questo spesso veniamo attaccati. In una fase come questa, in cui le tensioni potrebbero acuirsi, il nostro partito ha ancora attenzione ai temi dei diritti perché sono fondamentali. Un esempio su tutti è quello legato al tema dell’immigrazione che è stato enfatizzato ad arte e poi è scomparso. La questione va affrontata non in chiave ideologica ma razionale. A tutti i livelli, nazionale come locale e da sindaco ho ben chiaro cosa significhi»
Come vanno le cose nella nostra provincia?
«Noi viviamo una realtà che poggia molto sulle attività produttive. Dobbiamo spingere sullo snellimento della burocrazia perché è fondamentale. Servono garanzie sui tempi, sugli investimenti per dare risposte concrete alle imprese. Un esempio virtuoso è stato quello degli aiuti alimentari durante la crisi del covid. Il Governo ha subito accreditato le risorse economiche ai comuni e noi sindaci abbiamo subito agito per distribuirle. Noi a Varese dobbiamo essere concreti e stare a fianco di chi fa, come gli imprenditori. La provincia di Varese è grande e popolata e dobbiamo essere attrattivi per gli investimenti. Noi facciamo rete con le istituzioni regionali e nazionali e dobbiamo ascoltare le esigenze del territorio. Un altro aspetto per la provincia è la gestione del sistema idrico. Non è visibile direttamente dai cittadini, ma è una questione primaria. La società unica pubblica Alfa deve essere messa nelle migliori condizioni per lavorare bene. È un tema che va affrontato a livello provinciale».
Come state affrontando le prossime elezioni amministrative?
«Noi abbiamo due comuni sopra i 15mila abitanti: Saronno e Somma Lombardo. In entrambi le realtà abbiamo esponenti di grande valore e prestigio. Stefano Bellaria a Somma ha lavorato molto bene e anche se non è iscritto al Pd ha tutta la nostra fiducia. Augusto Airoldi è persona di esperienza. Negli altri paesi c’è la nostra attenzione, ma le dimensioni sono più civiche. Il Pd è un partito inclusivo ed aperto. Siamo pronti a dialogare con tutti su una piattaforma valoriate che ci vede accomunati. Noi siamo un riferimento importante nel panorama politico. Lavoriamo sui programmi e progetti e non sulle tattiche per posti di potere».
Com’è la partecipazione in questo momento?
«Durante l’emergenza del covid abbiamo avviato modalità per noi nuove come le piattaforme digitali e la partecipazione è stata sorprendente. La nostra vocazione è la presenza sul territorio. Abbiamo 62 circoli in provincia. Noi viviamo della presenza fisica e quindi il covid ci vede impazienti per rivederci da vicino e monconi filtro di uno schermo. Per questo ad agosto abbiamo previsto una serie di eventi pubblici aperti».
Negli ultimi giorni due politici varesini hanno fatto parlare molto di loro.
Gianluigi Paragone è fuori dal M5S e ha fondato Italexit. Che ne pensa?
«Ho sempre pensato che il M5S contenesse contraddizioni per le diverse anime che lo compongono. Era facile prevedere le scelte di Paragone dopo il percorso del movimento che ha messo in campo una diversa responsabilità verso il governo. Italexit non ha nessun riscontro, perché una società come quella italiana ha bisogno di riferimenti certi e sicuri. È solo uno slogan. Può richiamare e avere fascino per alcuni, ma in ambienti come quelli aziendali e istituzionali inquieta e basta».
E su Maroni che dice “torno in campo”?
«La sua posizione è più che legittima. Lui ha tutta l’autorevolezza e non c’è alcun commento da fare. Bisogna capire cosa significhi per la Lega la sua posizione. È un messaggio interno a quel partito. Certo è differente se lo fa per una scelta locale o nazionale, ma questo se lo vedranno loro».
Cosa vorrebbe oggi da sindaco?
«Una parte delle risorse arriveranno agli enti pubblici. Spero che queste colmino il mancato gettito fiscale, ma poi vadano utilizzate per gli investimenti. Non va finanziata la spesa corrente. Occorre snellire la burocrazia e avere più chiarezza normativa. Ci sono continui cambiamenti e questo rende tutto complesso. La digitalizzazione della pubblica amministrazione è un altro punto centrale. Vanno formati i dipendenti pubblici e questo velocizzerebbe molto la nostra azione».
Il Governo quanto recepisce le vostre esigenze?
«Non è possibile che tutti gli esempi virtuosi siano in deroga alle leggi. Un esempio è il ponte Morandi, un altro è l’Expo. Situazioni in cui ha operato un commissario straordinario arrivando in tempi rapidi alle soluzioni e non parliamo di progetti piccoli. Questo significa che l’ordinario va rivisto. È vero che ci sono problemi di legalità, ma questa non può essere un alibi per non rivedere un sistema che non può essere virtuoso solo nelle condizioni eccezionali».
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