Costruire ponti nel paesaggio digitale: approcci alla gestione delle relazioni in un mondo interconnesso
L'impatto della tecnologia sulle relazioni umane e la vita quotidiana. La sfida della gestione della privacy e la necessità di trovare un equilibrio nell'uso dei mezzi digitali. Suggerimenti pratici per affrontare consapevolmente il rapporto con la tecnologia e riflessione sulle implicazioni sociali e culturali della digitalizzazione.
Mio padre e suo fratello avevano un appuntamento telefonico verso le 8 ogni sera della settimana. Qualche minuto con il telefono a muro con la rotella per comporre il numero di 6 cifre senza prefisso da Milano a Milano e tenersi aggiornati sulla giornata e la famiglia. La domenica, la nostra famiglia andava a trovare nonna Elisa a Bergamo, una settimana sì e una no. Gli zii mandavano le lettere da Mogadiscio, e io facevo la raccolta dei bellissimi francobolli colorati della Somalia.
Tre modalità di comunicazione codificate, rispettivamente via cavo, da punto a punto, senza registrazione o traccia, se non sulla bolletta della SIP; in presenza, in uno spazio privato, dopo un viaggio di un’ora e pagamento del pedaggio autostradale in contanti e senza telepass; per via postale con supporto cartaceo scritto a mano, permanente, con contenuto privato, asincrono (ci volevano anche 3 settimane a volte).
L’ERA DELLE PIATTAFORME DIGITALI
Stiamo parlando degli anni ’60-’70. Balzo in avanti al mio viaggio di questa settimana. Sono finito in qualche migliaio di database privati e governativi con la mia immagine, dati e spostamenti tracciati, registrati e analizzati istantaneamente tra l’Italia, la Turchia e l’India. I miei scambi di comunicazione sono avvenuti principalmente attraverso WhatsApp (di Meta ex Facebook), telefonate (Vodafone e Apple), email privata (di Google), di lavoro (Microsoft), LinkedIn messaging (sempre di Microsoft). Ho ovviamente alimentato fiumi di dati nei sistemi transazionali più disparati: bancari, alberghieri, app di prenotazioni di tutti i tipi, accessi a luoghi pubblici e privati, compagnie di servizi di viaggio e trasporto. Non solo, scannerizzando codici QR di vari prodotti e servizi, sono entrato nei sistemi di profilazione di svariati fornitori di beni e servizi. etc. etc.
Questo è un caso intensivo, ma anche se rimaniamo a casa per Pasqua, la nostra bava digitale è continua. Il megatrend dell’essere oggetto e soggetto di un flusso di dati è ovviamente inarrestabile ed esponenziale. Questo semplice aneddoto lo illustra bene. A Jammu, confine col Pakistan, aspettando di imbarcare, ho cercato un portafoglio nuovo. Ce n’erano di tutti i colori, materiali e prezzi, ma non del formato che serve a me, cioè sufficiente per contenere la mia carta d’identità italiana, che ho scelto, tra il nostalgico e lo scettico, ancora di carta. Impossibile trovarne. Mi hanno spiegato che l’India sta digitalizzando tutto e non servono più i vecchi modelli che tenevano tante banconote e documenti cartacei, tanto si fa tutto in modo virtuale. Anche i baracchini sconquassati che emergono tra il pattume e i grattacieli accettano il pagamento con lo smartphone.
Se lasciamo da parte gli utilizzi non socialmente focalizzati della tecnologia, come ricercare informazioni, vedere spettacoli o fare shopping online, e ci concentriamo sul rapporto tra relazioni e tecnologia, è evidente che c’è stata una rivoluzione copernicana multidimensionale. L’impatto riguarda la dimensione delle relazioni (dalla tribù geolocalizzata e di prossimità a 8 miliardi di persone), la velocità istantanea e ubiqua, il costo per messaggio infinitesimale, la segmentazione e articolazione delle modalità su più livelli (ad esempio, interattività da semplice a complessa, permanenza temporale dei contenuti, profilazione e segregazione degli utenti, identificabilità e autenticazione dei soggetti), e molte altre dimensioni.
L’IMPATTO DEL DIGITALI NELLE RELAZIONI INTERPERSONALI
L’energia umana necessaria per gestire questo carico cognitivo è impressionante, a livello relazionale diventa facilmente insostenibile. Un mio amico monzese, come soluzione, ha scelto di non avere WhatsApp. Per gli accordi con gli amici, il lavoro, la squadra di calcio del figlio bisogna mandargli degli SMS oppure avvisare altri in famiglia. È simpatico e un po’ snob, certamente un unicorno. Come facciamo ad avere un approccio ecologico ai media personali?
L’ecologia sociale parte dall’assunto che le relazioni sono una parte fondamentale dell’esistenza umana, ma c’è un limite al numero di partner relazionali che abbiamo e possiamo mantenere. Ci sono da 2 a 5 persone che rappresentano il nostro core network e poi i “primi 15” membri del nostro network personale. Quando le modalità di comunicazione erano poche, ognuna aveva un suo ruolo abbastanza chiaro e definito. Oggi non è più così, perché le piattaforme competono per attrarre la nostra attenzione a diventare il punto di riferimento del nostro engagement relazionale con gli altri. Nel mondo il tema dell’accessibilità non è più dettato dai limiti fisici e tecnologici, ma determinato largamente dalle nostre scelte individuali di apertura, raggiungibilità, reperibilità, visibilità. Per trovare un equilibrio tra soddisfazione di un bisogno (di appartenenza), efficienza di energie e tempo, e bilanciamento tra interazione sociale e tempo da soli, è necessario sviluppare una nuova competenza che comprende la scelta di non ingaggiarsi con i social media, non essere disponibili, e le scelte di essere intenzionalmente da soli.
L’inerzia umana tende a soggiacere alla pressione del ciclo dopaminico utilizzato scientemente dalle big tech. È necessario attrezzarsi di pazienza e scelte deliberate che discriminino bene tra le interazioni superficiali e quelle intime in cui tutto il nostro sé è in condiviso con l’altro. Se vogliamo alimentare amicizia, conversazioni profonde, scambi relazionali che costruiscono fiducia, rispetto, valori condivisi, dobbiamo assolutamente imparare a usare le modalità ipertrofiche a nostra disposizione con sempre maggiore discernimento e consapevolezza.
Iniziare a svuotare l’oceano (in gergo si parla di “lago dei dati”), un cucchiaino alla volta è possibile. Senza dover arrivare ad incontrare gli amici in luoghi non coperti o schermati alle connessioni, ecco alcune idee semplici per partire: disabilitare le notifiche non strettamente necessarie, avere il coraggio da leoni di abbandonare i gruppi di WhatsApp molesti, aumentare significativamente il livello di privacy del profilo Google e navigare in incognito, attivare la modalità non disturbare e focus più ore al giorno.
SVUOTARE L’OCEANO DEI DATI
Questa sfida apparentemente personale e soggettiva, in realtà ha una valenza esistenziale profonda per la nostra specie, perché il digitale mina alla radice la creazione della “memoria culturale”. Questo termine, creato dallo storico Jan Assmann, indica il modo in cui le società esprimono la propria eredità in monumenti, scritture e, soprattutto, canoni, in un dialogo intergenerazionale che è fondamentale per tutta la cultura, la politica e la nostra immagine del mondo. Non c’è meccanismo per una memoria culturale a lungo termine nel digitale, tutto rimane fluido e viene modificato da un’enorme massa di esseri umani in ogni momento. Il digitale trasforma la memoria culturale in un fiume costante di espressioni sempre in cambiamento e mai ricordato.
Essere attori co-protagonisti della gestione della nostra privacy, allora è un atto rivoluzionario per riaprire spazi e tempi per permettere la connessione umana in cui il canonico e il nuovo si plasmano, la storia e le tradizioni si tramandano e mutano in nuove forme di senso.
Questo è un messaggio simbolicamente rilevante oggi, giorno di Pasqua, ed un invito esplicito a costruire ponti di senso tra chi condivide il pane intorno alle tavole imbandite a festa: ringraziando, condividendo i meriti, ascoltando attentamente, facendo domande umilmente, riconoscendo il contributo altrui.
Buona Pasqua.
“La storia dell’etica è una triste rassegna di splendidi ideali cui nessuno è riuscito a tener fede. La maggior parte dei cristiani non ha imitato Cristo, la maggior parte dei buddhisti non ha seguito l’esempio di Buddha e la maggior parte dei confuciani avrebbero fatto venire uno scatto di nervi a Confucio. Per contrasto, quasi tutti oggi seguono con successo l’ideale capitalistico-consumistico. La nuova etica promette il paradiso a condizione che i ricchi restino avidi e spendano il loro tempo a fare ancora più soldi, e che le masse diano libero sfogo alle loro voglie e passioni – e comprino di più, sempre di più. Questa è la prima religione nella storia i cui seguaci fanno effettivamente quello che viene chiesto loro di fare. Come facciamo però a sapere che in cambio avremo il paradiso? L’abbiamo visto in televisione”, Yuval Noah Harari.
Foto di Jorge Franganillo da Pixabay
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