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Ecuba tra tragedia classica e attualità: a Sesto Calende lo spettacolo degli studenti del Dalla Chiesa

In un’epoca in cui il classico sembra scomparire, i ragazzi dell'istituto superiore diventano la voce fuori dal coro, riportando in scena la tragedia Ecuba rivisitata dalla sensibilità delle nuove generazioni

Teli, sedie, vesti, cartelloni e musica: la sera del 6 giugno, giovedì, l’aula polivalente dell’IIS Dalla Chiesa di Sesto Calende si è trasformata: gli studenti hanno messo in scena la rappresentazione conclusiva del laboratorio teatrale “Svelati”, un’attività sostenuta da LAIVin – un progetto della Fondazione Cariplo – attivo in numerose scuole lombarde.

Attraverso la riscrittura di una tragedia di Euripide e la tecnica metateatrale, i giovani attori, accompagnati dalla regia di Michela Prando, con il supporto del Professor Giuseppe Licitra – referente scolastico del progetto – e la collaborazione delle Prof.sse Marcella Maggio, Marianna Passamonte e Donata Bertinelli, hanno presentato una drammaturgia collettiva intitolata: Ecuba: la tragedia di una madre tra passato e presente.

Nell’opera originale, terminata la guerra e incendiata la città per mano dei greci vincitori, le donne troiane superstiti diventano schiave dei loro nemici. Ecuba, moglie di Priamo e regina di Troia, è afflitta da un dolore straziante per il drammatico epilogo del conflitto. Tuttavia, la donna non ha sperimentato ancora l’apice della sua sofferenza: non è a conoscenza della morte del figlio Polidoro e non immagina il destino che attende la figlia Polissena: essere sacrificata dall’invasore greco per propiziarsi gli dèi nel viaggio di ritorno in patria.

Seguendo le tracce di Euripide – indiscusso protagonista del teatro antropocentrico – il gruppo teatrale ha voluto “riportare in vita” il tragediografo, inserendolo in un immaginario dialogo con un adolescente e un regista contemporanei. Dall’incontro delle diverse prospettive è scaturito un confronto capace di unire passato e presente attraverso le scene della tragedia Ecuba e la sensibilità dei più giovani.

I temi – classici – non possono che essere di grande attualità: l’importanza della libertà, il dramma della guerra, l’implacabile desiderio di vendetta, l’amore materno e il bisogno di una giustizia tanto ricercata. Quello dei ragazzi è stato un nostos – un autentico viaggio del ritorno – dalla superficie delle cose al vero porto di questo viaggio: noi stessi.

L’ironia e il metateatro sul palco hanno rotto la quarta parete: i ragazzi hanno parlato di loro stessi, dei social, dell’apparenza, del rapporto intergenerazionale – che troppo spesso si nutre di stereotipi – strappando a volte un sorriso amaro che risuona di realtà. Hanno voluto condividere i loro valori – libertà, umiltà, rispetto, ascolto, solidarietà, uguaglianza, parità, unione, sacrificio e passione – e riflettere sugli eventi drammatici  che accadono sotto gli occhi – spesso indifferenti – di chi si chiama fuori.

Con la musica, l’uso di cori e coreografie i giovani hanno attraversato insieme ad Onda Alta di Dargen D’Amico il mare, le morti nel mediterraneo ed il tema  – caro alla tragedia di Antigone – del diritto alla sepoltura. Risalendo per l’Europa hanno abbracciato l’afflato artistico dell’anonimo quanto celebre street artist Banksy, che tra fascino e mistero, denuncia le ingiustizie della società attraverso i suoi graffiti. Tappa da non dimenticare è stata Roma, dove hanno fatto eco alle 21 madri costituenti che nel 1946 alle sedute di Montecitorio fecero della parità di genere un diritto inviolabile.

Durante la performance sono scaturite grandi domande: come si può essere felici? Come affrontare l’ingiustizia? La vendetta è lecita? Come convivere con la legge morale insita in ognuno di noi? La risposta suggerita non è una sentenza, ma una lettera aperta che urla a tutti noi.

A fine spettacolo gli sguardi degli interpreti trasudavano vita: per alcuni di loro «la scrittura è come l’aria» per altri è un modo per superare la timidezza e l’ansia, per fare gruppo, per esprimere ciò che hanno dentro e che prima non riuscivano a dire.

L’ultimo atto, con una punta amara – quella del ricordo di coloro che vivono nel braccio della morte – è attutito da una scelta coraggiosa. In un mondo di incertezza, di sofferenza e di dolore il messaggio è racchiuso in una canzone: Credo negli esseri umani di Marco Mengoni. Loro ci vogliono credere, non vogliono mollare, a ciascuno di noi la libera scelta di fare lo stesso.

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Pubblicato il 09 Giugno 2024
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