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Quale futuro per le bocciofile dell’Alto Verbano?

Per uno sport che ha nella socialità una delle motivazioni principali e l'età media piuttosto alta dei praticanti la ripresa diventa ardua

Bocce varie

Il 4 maggio inizierà la cosiddetta fase due che coinvolgerà in parte il mondo del lavoro e marginalmente il mondo dello sport. Evitiamo di addentrarci nel mondo del lavoro, del PIL, di quanto calerà secondo le valutazioni del governo o secondo Standard & Poor’s e addentriamoci invece a considerare che cosa cambierà per le bocce e, in seconda battuta, quali possono essere gli scenari per le bocciofile del territorio, segnatamente per quelle dell’Alto Verbano.
Perché solo l’Alto Verbano? Per la semplice ragione che queste società sportive operano normalmente in un contesto non facile, causa la loro dislocazione che rende più difficile l’espletamento dell’attività agonistica serale o domenicale per le distanze chilometriche e per i collegamenti su strade non scorrevoli. Innanzi tutto le disposizioni governative: gli allenamenti autorizzati sono esclusivamente quelli, al momento, riservati agli atleti d’interesse nazionale, segnalati dai commissari tecnici – nota presidente De Sanctis del 28 aprile – a bocciodromi chiusi, non è noto fino a quale data e con quali disposizioni limitative; i giocatori che non rientrano in quella categoria non possono allenarsi se non eseguendo le permesse attività motorie.

Per esemplificare si può correre, ma non usare le bocce, essendo oltre tutto impensabile di andarle a lanciare in mezzo ai prati. Ciò significa che lo sport per tutti non potrà essere praticato per un tempo abbastanza prolungato, addirittura per molti mesi, a meno che non intervenga un’improvvisa recessione dell’epidemia, oppure che la diagnosi, si spera stavolta corretta e non errata come sino ad una settimana fa, e quindi il metodo di cura messo a punto dall’Ospedale Sacco di Milano e dall’Humanitas Research Hospital di Rozzano non si riveli efficace e muti radicalmente i numeri delle conseguenze letali. Cosa comporterebbe una fermata molto prolungata? Si può pensare alla perdita di un certo numero di tesserati legata non solo alla difficoltà di praticare come prima il gioco – teniamo presente che il presidente De Sanctis, in una recente intervista, ha detto che probabilmente si potranno praticare solo le specialità di coppia e individuale -, ma anche all’età media abbastanza alta dei protagonisti, che disamorati e, non ignoriamolo, spaventati dalle conseguenze epidemiche potrebbe decidere di non rinnovare il tesseramento.

A questo evento deprecabile si aggiungerebbe una serie di conseguenze. Non volendo dare per scontato determinate previsioni da parte di alcuni, qualora si registrasse un’emorragia anche solo del 10/20 %, si avrebbero meno iscritti ad ogni gara organizzata, quindi minor numero di giornate di competizione, perciò minor interesse degli sponsor per finanziare competizioni dedicate a un pubblico ristretto, soprattutto se agli spettatori venissero imposte le restrizioni del distanziamento sociale e delle mascherine. Si rischierebbe così un ulteriore esodo.

Per chi gestisce il bocciodromo confidando nelle entrate – modeste nella maggior parte dei casi, ma indispensabili per far quadrare la gestione – connesse all’attività del bar allegato al bocciodromo è evidente che dovrà fare i conti con un notevole ridimensionamento legato alle considerazioni precedenti. Se si aggiunge che, con ogni probabilità, le disposizioni per le fabbriche saranno applicate anche ai bocciodromi, è lapalissiano che i costi delle disinfezioni giornaliere, per ambienti di parecchie centinaia di metri quadrati di superficie e di metri cubi di spazi aerei, inciderebbero in modo non irrilevante sulle finanze delle Società.

Dulcis in fundo le responsabilità. L’eventuale mancato rispetto delle norme ricadrà sulle spalle dei presidenti di società, responsabili legalmente e quindi perseguibili in ogni caso anche se le mancanze dovessero avvenire loro assenti e ad opera di non tesserati. Il quadro come si vede non è confortante, tanto che non è da escludere a priori l’eventualità della chiusura di chi non si sentisse adeguatamente protetto.

La Federazione è parimenti preoccupata. Sempre il presidente ha fatto notare l’enorme perdita economica – otto milioni di euro? – che si è verificata e si verificherà per l’arresto di ogni attività. È pur vero che durante questi mesi del 2020 lo sport delle bocce ha dovuto annoverare circa 250 perdite, tuttavia, considerata l’età media non favorevole dei tesserati, il numero dei medesimi – circa 100 mila fra tutte le specialità – il tributo pagato, seppure spaventosamente drammatico, non è stato fuori media, potendosi collocare intorno allo 0,25%, percentuale simile a quella della letalità in Lombardia. Quindi futuro nero per le bocce del nord Verbano? Non roseo di certo, comunque le speranze di terapia emerse in settimana – nella maggior parte dei casi ci si potrebbe curare a casa -, la sicura passione da parte dei praticanti e la ferrea volontà di voler riprendere un gioco che ha nella socialità una delle motivazioni fondamentali per il suo sviluppo e il suo fascino, fanno sperare che quello che oggi costituisce un ostacolo di arduo superamento, possa divenire domani solo uno sgradito ricordo.

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Pubblicato il 03 Maggio 2020
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