I fiori per Gigi Riva, Leggiuno si ferma e piange il suo campione
Piccoli segnali di una grande perdita nel paesino del Lago Maggiore che ha dato i natali a “Rombo di tuono”. Il drappo nero in Comune. “L’ho rincorso per tutta la vita, ricordo quella volta che scappai per andarlo a vedere quando l’Italia venne a Varese”
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Francesca ha rincorso Gigi Riva per tutta la vita e ora lo saluta con gli occhi lucidi e un mazzo di rose bianche listate coi colori del Cagliari grazie a due nastrini che ha fatto mettere apposta dal fiorista. Arriva da Varese.
In machina ha lasciato la mamma di 91 anni e un cocker nero, poi fatti scendere per andare a vedere dove viveva il grande Gigi Riva, in una Leggiuno sospesa con le bandiere a mezz’asta e il drappo nero, cartelli di “chiuso per lutto“ e saracinesche a metà in un pomeriggio col sole che scalda, ma che fatica ad arrivare al 24 della via San Primo dove c’è una casa su due piani col glicine e le grondaie che fanno fatica pervia del trascorrere del tempo, due box di quando le auto si chiamavano Seicento e un pezzetto di giardino.
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Dal balcone si vede il campanile della chiesetta; e dietro, il campo di calcio. Quello dove giocava Gigi Riva: «Me lo immagino che corre fuori dal cancello per andare a giocare a pallone, è una cosa che mi emoziona. Avevo intenzione da tempo di passare a vedere dove viveva. Poi oggi ho deciso. Sarei venuto anche in ginocchio», spiega Paolo Carcano, sessantenne ciclista arrivato da Gavirate e che si è attaccato al campanello delle case dietro alla chiesa come un ragazzino: «Scusi, qual è la casa di Gigi Riva?».
Sul cancello c’è già un piccolo mazzo di rose rosse. «L’ha portato una signora di Cagliari che vive a Gallarate, è andata via cinque minuti fa», spiega Paolo attorno alle 15.30. «Io sono anche passato in Comune: era chiuso, ma ho pregato di farmi vedere le maglie che hanno allestito nell’atrio. Un piccolo strappo alla regola. Anche se qui, fuori dalla sua casa, mi aspettavo di più».
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Mentre Paolo racconta, un anziano passa con l’auto, rallenta, poi frena. Guarda il cancello una volta scuro perché scrostato e si emoziona, si asciuga una lacrima ma non scende. C’è chi invece arriva quasi di fretta, parcheggia in curva e lascia le quattro frecce alla Panda (quella con mamma anziana lato passeggero e cocker nero) e con ampie falcate arriva sotto la casa del campione.
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Eccola Francesca Cavinato. Pronuncia un’affermazione che quasi suona come la giustificazione dei bei tempi andati: «Mi ero presa una cotta per Gigi», esordisce. Parte per la tangente, la testa ancora lì coi ricordi. «Era il 1970, l’anno di Italia-Germania, e gli scrissi una lettera. Lui mi rispose. Certo, mi rispose con una foto, probabilmente rispondeva così a tutti quanti gli scrivevano, ma è stato un gesto che mi ha riempito il cuore e da allora lo penso sempre».
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Non importa se si diventa grandi, se arriva la famiglia cresce e i figli pure. «Pensi che negli anni Ottanta inoltrati, quando la Nazionale era a Varese per un’amichevole ho fatto una pazzia: dopo aver accompagnato i figli a scuola mi sono precipitata allo stadio per vedere la partita ma poi la televisione mi ha inquadrato e tutti hanno saputo della mia fuga per seguire Gigi (che, dopo i trascorsi nel calcio giocato, era diventato dirigente Azzurro ndr). Le amiche mi telefonavano in continuazione: “Ma cosa ci facevi allo stadio?!”».
Le 17 arrivano in fretta, la vita riparte nel paesino sul Lago Maggiore, i papà vanno a prendere i bimbi in piazza, e sulla panchina del pacchetto ci sono tre ragazzi che guardano il telefono: la giornata non può finire con l’azzardo per una domanda. Meglio accontentarsi del fruttivendolo che riapre, e il dog whash che rialza la clèr. Il paese rinviene. E l’ora dell’aperitivo si avvicina nel bar dove alla tv trasmettono una clip dei Kiss. Arrivederci a Leggiuno, si legge sulla provinciale che porta fuori del paese, ma appena prima del cartello di Sangiano qualcuno ha stampato dei fogli bianchi A4: «Ciao, Gigi Riva».
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