Per Berna i frontalieri non sottraggono posti di lavoro alla mano d’opera residente
La Segreteria di Stato per l’economia smentisce anche l’opinione comune che i datori di lavoro della Svizzera italiana lucrerebbero sul dumping salariale
I dati della Seco (Segreteria di stato per l’economia) smentiscono il luogo comune che i lavoratori stranieri, i frontalieri in particolare, influiscano negativamente sull’occupazione interna. Anche in Canton Ticino, dove pure i frontalieri nel 2019 costituivano il 28,5% della mano d’opera complessiva. Con un aumento del 5,6% dal 2010 all’anno scorso.
Tasso di disoccupazione e immigrazione, rileva l’Osservatorio sulla libera circolazione delle persone tra Svizzera e Unione europea, non sono necessariamente collegati. I lavoratori stranieri, frontalieri e domiciliati, coprono fasce orarie disertare dalla mano d’opera autoctona, ad esempio i turni notturni, e svolgono mansioni spesso qualificate non disponibili sul mercato del lavoro interno. L’immigrazione dai paesi dell’Unione europea e da quelli Aels (Area libero scambio) è rimasta stabile, anzi lo scorso anno è scesa a 30.700 persone dalle 31.200 del 2018 a livello svizzero. Al di fuori dell’Unione europea e dei paesi che aderiscono all’area di libero scambio l’immigrazione, nel 2019 è scesa di 2.700 unità, sempre a livello svizzero.
La Seco, infine, smentisce l’opinione comune, anche di parte sindacale, che i datori di lavoro della Svizzera italiana lucrerebbero sul dumping salariale: gli stipendi sono aumentati in Ticino dello 0,8%, meno dell’1,1 della Svizzera tedesca e dell’1,2% a livello nazionale. Troppo poco per parlare di dumping salariale.
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