Il Museo del Paesaggio, una storia che dura da centodieci anni
Il Museo del Paesaggio, una storia che dura da centodieci anni
È sul numero uscito nel maggio 1909 della rivista «Verbania» che un non meglio definito Erasmo lancia per la prima volta la proposta di istituire a Pallanza un Museo Storico ed Artistico Regionale, in cui raccogliere «cimelî di arte e di storia, fotografie dei monumenti della regione, ritratti degli uomini più illustri, manoscritti ed opere a stampa dai quali sia agevole ricostituire la storia che più ci deve interessare, quella del paese ove viviamo». I due mesi successivi vedono un susseguirsi di incontri pubblici e appelli rivolti a cittadini e istituzioni perché diano ampio sostegno all’iniziativa. A ideare e coordinare il tutto è Antonio Massara, novarese, insegnante al Liceo di Pallanza e già fondatore della stessa «Verbania». Si giunge così al 19 settembre quando nelle sale della Casa Viani, antica dimora nobiliare che prospetta sulla Ruga di Pallanza la sua facciata affrescata rinascimentale, si inaugura il Museo storico artistico del Verbano e delle Valli adiacenti, che ospita una prima Mostra Storico Artistica Regionale. Difficile dai pochi accenni che compaiono sulle testate locali comprendere con esattezza il numero e il valore delle prime opere esposte; appare abbastanza chiaro però come, oltre alle opere d’arte «vere e proprie», nelle intenzioni di Massara il Museo debba accogliere stampe, incisioni e fotografie che illustrino il paesaggio del Verbano e i «monumenti d’arte» dei dintorni.
Già pochi mesi dopo la sua apertura il Museo è costretto a traslocare, dal momento che la Casa Viani è destinata alla demolizione, e a nulla valgono gli appelli perché il Comune provveda a conservarla. La nuova sede è fissata al primo piano dell’Asilo comunale di Pallanza, nei pressi della chiesa della Madonna di Campagna. È qui che le idee di Massara iniziano lentamente a prendere forma. Confidando sul grande potere dell’arte «la quale ha il singolare privilegio di fermare il corso dei tempi», il professore progetta una Galleria d’Arte del Paesaggio, destinata a ospitare vedute del territorio realizzate da artisti ottocenteschi e contemporanei. L’iniziativa è favorita da alcune importanti donazioni: basta citare a titolo esemplificativo la figura di Marco De Marchi – imprenditore, naturalista e grande filantropo – che nel 1911, al termine della Mostra tominettiana ospitata nel ridotto del Teatro Sociale di Pallanza, dona al Museo L’aratura a Miazzina di Achille Tominetti e L’isola Pescatori di Eugenio Gignous.
Nel 1914 il Museo trova finalmente la sua collocazione definitiva all’interno del Palazzo Viani Dugnani, inizialmente nel solo piano nobile. In questa occasione l’istituzione cambia anche la sua denominazione, diventando ufficialmente Museo del Paesaggio. È lo stesso Massara a spiegare il senso di questo cambiamento, intendendo con il termine paesaggio «non il cliché stereotipo dei panorami naturali, ma l’aspetto intimo e profondo e continuamente mutabile sotto l’impronte della vita umana, della visibile scena del mondo». Si tratta di un concetto estremamente moderno, che nella sostanza coincide con la definizione presente nella Convenzione europea del Paesaggio, adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2000, nella quale il termine designa «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni» .
Dopo un primo momento di crisi che segue la morte del suo fondatore (avvenuta nel 1926), l’attività del Museo riacquista vigore verso la fine degli anni Trenta. Nel 1937 Paolo Troubetzkoy, lo scultore di origine russa ma verbanese a tutti gli effetti (è nato a Intra nel 1866 e trascorre ogni anno il periodo estivo nella sua residenza della Cà Bianca, nei pressi di Suna), dona alcuni suoi gessi; dopo la sua morte, nel 1939, i suoi eredi – assecondando le volontà dell’artista – scelgono di donare al Museo del Paesaggio tutte le opere che si trovano nei due studi dello scultore, quello di Suna e quello di Neuilly-sur-Seine, presso Parigi, dove si trova la residenza ufficiale dello scultore . Nello stesso anno, con l’unione di Pallanza e Intra e la nascita della città di Verbania, il Museo incamera gli oggetti d’arte già custoditi nella Sala Storica Intrese, una sezione della Biblioteca di Intra nata – parallelamente al Museo stesso – per opera di Renzo Boccardi e destinata a ospitare le memorie storiche e artistiche della cittadina: entrano così a far parte delle collezioni museali numerosi disegni e dipinti degli intresi Luigi Litta e Daniele Ranzoni.
Un'altra stagione di crescita e di rinnovamento investe il Museo del Paesaggio a partire dagli anni Sessanta, dapprima grazie alla stretta collaborazione che si instaura con l’allora Soprintendenza alle Gallerie del Piemonte guidata da Noemi Gabrielli (che si occupa personalmente di un nuovo allestimento della Gipsoteca Troubetzkoy ) e in seguito grazie a un nuovo gruppo di volontari, animati da Gianni Pizzigoni, che a partire dal 1972 è incaricato di riorganizzare l’istituzione. Da questo momento il Museo del Paesaggio organizza annualmente importanti esposizioni e cura pubblicazioni dedicate agli artisti locali e non, approfondendo in maniera sempre più incisiva il legame tra il territorio e le collezioni del Museo.
Queste ultime, peraltro, hanno continuato ad arricchirsi. Nel 1961 Vittorio Tonolli dona al Museo i materiali archeologici scavati a Ornavasso nell’ultimo decennio dell’Ottocento da Enrico Bianchetti . Nel 1979 Egle Rosmini, compagna di Arturo Martini e originaria del Verbano, offre cinque sculture dell’artista, proponendo inoltre l’acquisto di un cospicuo numero di opere, che viene portato a termine grazie a un contributo regionale l’anno successivo. La sezione dedicata alla scultura si accresce inoltre, sempre nel 1980, grazie alle opere dello scultore Giulio Branca, nativo di Cannobio, donate al Museo dagli eredi dell’artista.
Diciannove dipinti di Mario Tozzi entrano a far parte delle collezioni del Museo nel 1996, dono del fratello dell’artista e dalla sua famiglia sulla scorta del successo della mostra dedicata al pittore l’anno precedente. Sempre nel 1996 la pittrice intrese Elide Ceretti dispone, nel suo testamento, di lasciare al Museo del Paesaggio tutte le sue opere (più di novecento dipinti) e il complesso della sua abitazione, perché diventi uno spazio didattico in grado di «dare un insegnamento dell’arte nella sua espressione più pura e autentica».
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