Coca ed eroina su whatsapp si chiamavano “bianca e caffè”: 5 imputati per lo spaccio in Valcuvia
Il gergo usato per ordinare, le intercettazioni ambientali e nei boschi, oltre ai 7 chili di fumo sequestrati a varese in valle Olona: il processo Maghreb entra nel vivo
Sulle buste della droga appena sequestrata e contenuta in una Seat Ibiza abbandonata dai “cavalli” dello spaccio in arrivo da Corsico e diretti in Valcuvia, nel settembre 2017 era stata trovata una sola impronta leggibile. Era quella di un confidente dei carabinieri finito nelle carte dell’inchiesta dell’Arma coordinata dalla procura di Varese – battezzata col nome “Maghreb” – che portò dopo quell’episodio ad alzare il tiro sui boschi conquistati dagli spacciatori, tanto da far ricordare in aula ai militari ancora oggi impegnati nelle osservazioni e nei blitz, che solo cinque anni fa si poteva ancora andare per boschi senza alcun problema. Ma da allora anche l’Alto Varesotto è stato letteralmente divorato da quella cancrena legata alluso e abuso di sostanze che aveva cominciato a “mangiarsi“ e a saturare tutte le aree verdi del Sud della Provincia per poi risalire sempre più a Nord quasi fosse la colonizzazione di parassiti su di un essere vivente.
I carabinieri misero subito un faro su quei fenomeni e i risultati arrivarono con la raffica di arresti nella primavera 2019 quando il Reggimento Lombardia in armi e forze risalì i pendii dei boschi fra Castello Cabiaglio e Brinzio e fra Valganna e Marzio per ripuliti dagli spacciatori. Oggi per quei fatti sono a processo cinque soggetti – fra cui l’informatore – uno dei quali ha chiesto una penna su accordo delle parti a tre anni e che verrà presa in considerazione alla prossima udienza fissata per metà dicembre, mentre un secondo soggetto tuttora latitante ha chiesto anch’egli di patteggiare attraverso il suo legale, e gli altri, a giudizio con rito ordinario (le misure cautelari emesse ai tempi dal gip di Varese furono diverse, e la posizione processuale di alcuni soggetti è già arrivata alle prime decisioni da parte della magistratura).
Uno spaccato, quello emerso dai carabinieri sentiti in aula che è la cronistoria dello spaccio con tanto di “nome in codice“ per la droga chiamata di volta in volta in maniera diversa a seconda della sostanza (bianca o latte per la coca, caffè per l’eroina, paesana per il fumo), con le posizioni dei pusher e dei consumatori spesso ottimi conoscitori delle zone che per qualche dose diventavano schiavi della droga, mettendo a disposizione anche la propria abitazione come base logistica degli spacciatori. In mezzo decine e decine di episodi (che tuttavia non sono in discussione in questo processo) legati al continui blitz stile “guardie e ladri“ fra malviventi e forze dell’ordine, minacce a cittadini a spasso nei boschi (un episodio recente nella zona fra Brenta e Casalzuigno dove sono spuntate anche armi da fuoco) o sparatorie fra magrebini con fucili da caccia fra Laveno e Sangiano per controllare il territorio. Nell’udienza di giovedì di fronte al Collegio è stato sentito un imputato che ha scelto di farsi interrogare per chiarire la propria posizione (il confidente delle forze dell’ordine) e alcuni carabinieri.
Durante l’escussione dei militari sono emerse tecniche investigative che consistono nella veloce raccolta di elementi a carico degli imputati come il posizionamento della droga, spesso nascosta sotto terra in barattoli di conserva, «ma quando hanno capito che li trovavamo col metal detektor, hanno utilizzato contenitori in plastica». Altri esami degli imputati e discussione finale sono previste per la metà di dicembre.
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